lunedì 21 dicembre 2009

Una riflessione di G.Pasquino


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POL - L’italico vizietto dal trasformismo all’inciucio
Bologna, 20 dic (Velino) - Sono assolutamente certo che gli esponenti del Partito d’Azione si riterrebbero onorati se sapessero che, a sessanta e più anni dalla scomparsa del loro partito, Massimo D’Alema li cita come un esempio da non seguire a causa della loro “eccessiva” moralità politica e della assoluta indisponibilità al compromesso. Anche per questo, oltre alla gravissima mancanza di una struttura politica in grado di conquistare voti nell’Italia rurale e semi-analfabeta del 1946-1948, la sconfitta del Partito d’Azione era segnata. Alcuni azionisti portarono moralità politica e indisponibilità al compromesso in altri partiti, ma non nella DC e nel PCI. Anzi, rimasero la bestia nera tanto dei comunisti quanto, ancor più, dei democristiani che, evidentemente, praticavano ben altro tipo di politica e di accordi. Curiosamente, entrambi i grandiosi interpreti delle masse popolari sono rovinosamente scomparsi tra il 1989 e il 1994, ovviamente senza fare autocritica, anzi, senza neppure riflettere mai sulle cause della loro disgregazione. Poi, buona parte degli ex-comunisti e degli ex-democristiani di sinistra non hanno trovato di meglio che ricorrere alla recente, ma non eccellente, convergenza nel loro personale inciucio, ovvero a dare vita al Partito Democratico che, secondo il ritornello più volte pronunciato, raccoglie il meglio delle culture politiche socialista (ma D’Alema continua a sostenere di non avere nulla di cui rimproverarsi rispetto al suo essere stato comunista) e cattolico-democratica.

Fra l’altro, gli azionisti avevano il difetto di essere già allora dei credenti nel bipolarismo, quella situazione nella quale governa chi vince le elezioni, mentre chi sta all’opposizione si prepara per vincere le elezioni successive. Non è esattamente questo, ovvero la vittoria elettorale, il modo con il quale D’Alema è diventato Presidente del Consiglio nell’ottobre 1998. Soltanto un’altra grande operazione all’italiana, ovvero il trasformismo di sessanta parlamentari che, eletti in liste diverse da quelle dell’Ulivo, trasmigrarono verso il centro-sinistra, guidati e applauditi da Cossiga che dichiarava di chiudere, a modo suo, la guerra fredda in Italia, lo portò, non proprio trionfalmente, a Palazzo Chigi. D’Alema venne premiato anche perché, in fondo, le prove tecniche di inciucio, in particolare sulla giustizia, lui le aveva fatte, per quanto senza successo, nella Commissione bicamerale.

Adesso, ci riprova, in condizioni più difficili, e ammonisce contro la possibilità che il Partito Democratico diventi, fenomeno per lui negativo e riprovevole, un Partito d’Azione di massa. Va subito rassicurato. Il Partito Democratico non è effettivamente ancora un partito, ma un assemblaggio di componenti la cui unica contaminazione non sta nella cultura politica, ma nella formazione di correnti, magari intorno a Fondazioni. Non è neppure necessariamente “di massa” quanto, piuttosto, “di oligarchie” che, talvolta, ad esempio, per eleggere il segretario, entrano in competizione, ma la cui competizione non cessa neppure ad elezione avvenuta. Il peggio è, però, che la vera competizione continua ad essere sulle cariche. Nobilitandola si potrebbe dire gramscianamente che è una guerra di posizione. E, ancora gramscianamente, ci si potrebbe aspettare che il Partito Democratico lanci una guerra di movimento contro il governo, con proposte e idee innovative. L’inciucio può servire al Massimo come forma di guerriglia all’interno del Partito Democratico provocando la reazione dei veltron-franceschiniani e l’ironia del Sen. Enrico Morando: “Magari fossimo un partito d’azione di massa”.

Certo, l’inciucio si fa fra le elite e difficilmente esalta e mobilita le masse. In altri tempi, la mossa di D’Alema, subito apprezzata da Casini, lo avrebbe qualificato come pontiere, ma lui vorrebbe ancora essere un timoniere. Non è proprio il caso di fargli gli auguri.
(Gianfranco Pasquino) 20 dic 2009 18:12

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