venerdì 11 dicembre 2009

Primo: Abolire la Povertà e la Miseria


Trascrivo qui di seguito il brano iniziale di ‘Abolire la miseria’ (1946) di Ernesto Rossi. Leggendolo, si rimane colpiti dalla chiarezza, dalla profondità, dalla completezza e dalla permanente attualità dell’analisi critica del sistema economico, che dall’Occidente si è esteso, oggi, a tutto il mondo. La critica di Rossi ai ‘gravi inconvenienti del ‘regime individualistico’, cioè del regime economico fondato sul libero mercato, ha alla sua base un’opzione a favore dell’ordinamento giuridico proprio dello Stato liberale (cioè dello Stato che garantisce la proprietà e il rispetto dei contratti) e, a sua volta nasce da un’esigenza della coscienza morale, che, mentre avverte come assoluto il principio della libertà individuale e dà, perciò, il proprio assenso soltanto agli ordinamenti, alle istituzioni e alle leggi che lo accolgono e lo tutelano, al tempo stesso non sopporta che la libertà venga intesa e si realizzi come un privilegio degli uni ad esclusione e in danno degli altri e sia, cioè, di fatto, una libertà ‘ingiusta’, lesiva della pari titolarità di tutti gli uomini, in quanto cittadini e, prima ancora, in quanto esseri dotati di una volontà consapevole.

Riconducendo l’economia sotto l’egida del diritto e il diritto sotto l’imperio della coscienza morale (per cui ‘legalità’ e ‘giustizia’ non si identificano mai compiutamente nella storia e tuttavia non si può prescindere dal problema di una loro sempre più adeguata corrispondenza), Ernesto Rossi si collocava nel filone del liberalismo italiano, caratterizzato, appunto dalla connotazione etica del concetto di libertà. Per Croce, infatti, la libertà è un’energia che si concretizza di volta in volta in determinazioni storiche contingenti e il ‘liberismo’ è solo una di esse: il sistema migliore, certo, a paragone di altri, dal punto di vista della capacità di soddisfare i bisogni umani, ma pur sempre un sistema contingente e suscettibile di alternative. Per Einaudi, invece, il liberalismo e’ tutt’uno con il ‘liberismo’, nel senso che senza Stato liberale non c’è mercato che sia davvero libero e senza ‘libero mercato’ non c’è Stato liberale e non c’è per la libertà la possibilità di esprimersi nella sua pienezza. Tuttavia, poi, lo stesso Einaudi distingueva tra il ‘meccanismo’ di mercato, che è senza dubbio il più adatto per rispondere alla domanda effettiva, e il problema di una più equa ripartizione del potere di acquisto tra i consumatori, la cui soluzione egli lasciava alle politiche sociali dei governi. E qui ricompariva, in seno alla teoria liberale, un’istanza egualitaria, che può essere più o meno avvertita a seconda del livello di sviluppo della coscienza civile e morale di una data società.

La distinzione tra mezzi e fini, il rifiuto del materialismo che consacra l’esistente come una realtà immodificabile, la prospettiva di una società migliore come scopo assegnato alla politica, sono l’eredità che ci hanno lasciato ii padri del liberalismo italiano e che nell’immediato fui raccolta dai loro discepoli, molti dei quali si riconobbero in una nuova sintesi teorica che denominarono, con lievi sfumature di significato, ‘socialismo liberale’ o ‘liberalsocialismo’. Termini nuovi e inediti, che apparvero in sé contraddittori e improponibili ai liberali ‘puri’, ma che, nella forma di un apparente ‘ossimoro’, sgombravano il campo da un equivoco, in cui tanti assertori del liberalismo sono ancora oggi irretiti, sottolineando che, per la sua essenza di dottrina dell’emancipazione umana di carattere universalistico, il liberalismo non può fare a meno dell’istanza complementare della giustizia; perché la libertà che si deve volere o è la ‘libertà giusta’ o degrada a libero gioco, contrapposizione e scontro delle forze e si risolve nel privilegio di pochi rispetto ai molti: un gioco che a lungo andare diventa intollerabile in nome della stessa libertà.

E’ proprio per questo che Ernesto Rossi, allievo di Luigi Einaudi e fautore del libero mercato, avvertì fortemente la necessità di disciplinarlo, di correggerne le storture, di indicare alla politica la strada delle ‘riforme’. Che egli non intese, però, nel senso ristretto e formalistico di una pura razionalizzazione o ‘modernizzazione’, volta ad accrescere l’efficienza del sistema, in vista di una maggiore competitività e di un rilancio dello sviluppo. Ne’ intese nel senso socialdemocratico della costruzione di un Welfare più ampio a tutela del mondo del lavoro. Il problema che egli ritiene debba avere la priorità assoluta su tutti gli altri è l’abolizione di quella vera e propria malattia sociale che è la ‘miseria’ e che nessuna delle società progredite è riuscita mai a risolvere né si è posto con la necessaria chiarezza e determinazione. Perché, espansione e sviluppo non riducono, ma allargano, di fatto, la ‘striscia’ sociale della miseria e l’edificio, per tanti aspetti meritorio, del Welfare tutela in massima parte i lavoratori occupati, mentre lascia fuori chi non riesce ad avere accesso al mercato del lavoro o vi entra da semplice precario. Un problema che nel tempo attuale assume la dimensione di un vero e proprio allarme sociale. Le politiche finanziarie, economiche, sociali devono partire da qui, considerando le possibili soluzioni al problema di garantire un’esistenza dignitosa alla società degli esclusi come la leva necessaria alla crescita e allo sviluppo di un sistema emendato dai numerosi e gravi ‘inconvenienti’ che ormai sono sotto gli occhi di tutti.

VEE

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“Il libero gioco delle forze economiche, stimolate dal tornaconto privato, in un regime individualistico, caratterizzato dall’ordinamento giuridico che garantisce la proprietà privata su gran parte degli strumenti materiali di produzione ed il rispetto dei contratti liberamente conclusi -in modo da permettere il funzionamento del meccanismo del mercato per la distribuzione dei beni di consumo fra coloro che ne fanno richiesta e per la distribuzione dei fattori di produzione fra tutti i possibili impieghi – presenta, nella società moderna, molti gravi inconvenienti, anche nei paesi più progrediti.

La miseria di larghi strati della popolazione, in stridente contrasto con l’opulenza di pochi privilegiati; lo sperpero di tante energie umane e di tante risorse materiali per soddisfare la vanità ed i futili capricci di chi si presenta sul mercato con una maggiore capacità di acquisto, il parassitismo di chi vive senza lavorare sulle rendite dei patrimoni ereditati; la collaborazione che il mercato dà, anche per il raggiungimento degli scopi più antisociali, a chiunque disponga di mezzi per pagare; la réclame bluffistica e le speculazioni predatorie con le quali vengono continuamente spogliati i consumatori ed i risparmiatori; le distruzioni di ricchezza causate dalla concorrenza e dal geloso individualismo dei produttori; gli squilibri dell’offerta rispetto alla domanda, derivante dall’azione indipendente degli imprenditori, la inattività di tante braccia e di tanti strumenti produttivi durante le crisi ricorrenti; la carestia dei prodotti provocata artificialmente dai monopolisti per tenere alti i prezzi; l’industria asservita alla finanza, che la dirige come strumento per le manovre borsistiche; il prepotere della plutocrazia e delle grandi organizzazioni sindacali operaie sugli organi politici responsabili: a questi e ad altri motivi di critica, che da diverse parti sono stati ampiamente sviluppati, bisogna pur riconoscere un fondamento di verità. E dobbiamo anche ammettere che molti difetti non sono accidentali; costituiscono oggi degli aspetti necessari del regime individualistico (…)

Pure, quando confrontiamo il regime individualistico con quella che ci si presenta come un’alternativa possibile – il monopolio statale di tutti gli strumenti di produzione, cioè la burocratizzazione di tutta la vita economica- ce ne appaiono evidenti anche gli aspetti positivi, ed arriviamo alla conclusione che, se non vogliamo rinunciare al continuo progresso del benessere umano ed ai valori essenziali della civiltà moderna, piuttosto che abolirlo, conviene pensare a modificarlo e correggerlo, continuando nelle riforme che sono state compiute in passato per renderlo meglio adatto alle mutevoli condizioni della vita collettiva, in rapporto alle sempreenuove esigenze della coscienza morale.”

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