domenica 28 febbraio 2010

Gaetano Salvemini di Gaetano Maruca


Gaetano Salvemini nacque l’8 settembre 1873 a Molfetta, in provincia di Bari. La famiglia apparteneva alla piccola borghesia ed era composta da nove figli che il padre, modesto impiegato, mandava avanti stentatamente.

Gaetano compì gli studi classici con l’aiuto di uno zio prete. In quegli anni il giovane Salvemini ebbe coscienza, ancora alquanto confusamente, dei torti subiti dalla popolazione meridionale.

Le idee di quegli anni, dopo la caduta del prezzo del vino da 40 a 2 lire, dovuta alla poco avveduta politica doganale con la Francia, di cui era responsabile Crispi, erano di aperta ostilità al governo crispino e di ciò avevano avuto buon gioco i radicali che, nel collegio elettorale di Molfetta, erano riusciti a far eleggere il loro rappresentante Imbriani.

Non diversamente pensava il giovane Salvemini, che esprimeva nel suo primo articolo, apparso su un giornaletto locale nel 1892 dopo due anni di studi universitari, il suo sdegno antigovernativo e la sua fiera opposizione di repubblicano. Era giunto a Firenze nel 1890, quello che allora si chiamava Istituto superiore di studi pratici. Qui ebbe insigni maestri, che poi, nel corso della sua vita ricordò tutti: Frezza, Malfatti, Martinelli, Coen, Lavazza, Ramorino e fra gli altri Alberto del Vecchio, Pio Rajna, F.G. Parodi, Achille Gennarelli.

Non pare che il giovane avesse, quando giunse a Firenze, una particolare vocazione per gli studi storici. Ma la vocazione si manifestò sul finire del primo anno, allorché, assente il Villari, chiamato a far parte del gabinetto Rudinì, potè tenere poche lezioni. Su di lui ebbero molta influenza non insegnanti della statura del Villari, ma Achille Coen e Cesare Paoli. Nel 1893 aderì espressamente al partito socialista.

E’ molto importante, per comprendere il clima di quegli anni, rileggere le pagine di B. Croce sulla “Storia d’Italia dal 1871 al 1914″, in cui descrive le condizioni degli spiriti di quegli anni: “Le descritte condizioni psicologiche, l’incertezza dei fini da perseguire, il dubbio sui mezzi, il vuoto nelle idee, tutte queste cose di cui si soffriva, danno il modo di intendere perchè mai, nel 1890 circa, si accendesse nei giovani italiani l’appassoniamento per le dottrine del socialosmo, che rapidamnete crebbe e si diffuse lungo quel decennio. Era questo un movimento di carattere auropeo, ma ebbe in Italia, dove apparve più tardi che in altri paesi, un proprio andamneto ed effetti particolari, come si vede nel ripercorrerne la storia. Socialisti o inclini al socialismo, e a questo simpatici, non erano più gli sparsi individui di cui abbiamo accennato la fisionomia, ma gli studenti universitari di ogni facoltà, quelli di più sveglia intelligenza….e letterati giovani, e altri della generazione già matura e che in esso si ringiovanivano, con a capo E. De Amicis, il quale ora consacrava al socialiosmo l’arte dei suoi bozzetti e delle sue altre scritture: e altri di varia professione, che dischiudevano la mente a quel che si presentava oggetto di nuovo fervore e travaglio spirituale. Il socialismo marxistico veniva a riempire il vuoto che vaneggiava nel pensiero e negli ideali italiani sotto l’azione dissolvitrice del positivismo e del correlativo pessimismo, e che i giovani sentivano e di cui assai pativano, bramosi di una luce dall’alto, di un fuoco per le loro anime, di un fine a cu tendere le forze, che non fosse alcuno dei piccoli fini della vita pratica e professionale, di un fine che avesse valore universale ed etico. La recezione del socialsmo marxisistico in Italia e il fermento a cui diè luogo furono, per contrario, un complesso di correzioni , di restituzioni e restaurazioni, di migliori avviamenti, di maggiori approfondimenti, che ridiè contenuto alla ciltura italiana, la raccolse floscia e cascante e l’appoggiòad una ossatura. Non minore giovamento venne da quel fervore socialstico alla vita morale, la quale non è profondamnete danneggiata dalle esagerazioni, dagli eccessi e dai fanatismi, ma è gravemente depressa, e può essere spinta alla corruttela dallo sconforto e dalla sfiducia, dal pessimismo, dalla caduta dell’entusiasmo e dall’irrisione degli entusiasmi.”

Questo ambiente storico-culturale influì molto sulla conversione di Salvemini al socialismo e sono anche questi gli anni della appassionata lettura di testi marxistici e , come dirà lui stesso negli anni dopo, parlando di sè nel 1896, era allora “un giovane di ventirè anni che nei due anni precedenti aveva divorato il Manifesto dei comunisti e gli altri scritti di Marx sulle lotte di classe in Francia nel 1848, sul colpo di Stato nel 1851 e sulla Comune, aveva scoperto il vangelo nel “materialismo storico” di A. Labriola, ed aspettava con impazienza ogni due settimane la “Critica Sociale ” di Turati”.

Intanto, laureatosi , passa ad insegnare nei Licei di Palermo,Faenza, Lodi. In quest’ultima città scopre, mel 1898-99, nella biblioteca comunale “gli scrittori politici lombardi del Settecento e dell’0ttocento e C. Cattaneo, che sopra tutti come un’aquila vola”. Il Federalismo di costui si accordava con le idee di Salvemini che suggeriva che il corso di “Logica e psicologia delle menti associate” fosse introdotto nei Licei e desse definitavemnte il bando alle storie di Filosofia, responsabili, a suo parere, della confusione mentale esitente ivi.

Nel 1901 aveva vinto , a vent’otto anni, il concorso per la cattedra universitaria e nell’autunno dello stesso anno intraprendeva l’insegnamento presso l’Università di Messina.

Le sue osservazioni sul marxismo, che prima abbiamo riferito, lo porteranno, nel 1911, ad abbandonare il partito socialista. Non stiamo qui a polemizzare con l’ampia letteratura sull’abbandono del partito, ma ci sembrano di particolare importanza quegli accenni che faceva il Salvemini sulle idee marxistiche. Questa linea di condotta sembra molto vicina alle posizioni assunte dal Croce che, dopo aver letto i volumi del marxismo classico, non ne fu però sopraffatto, ma essi contribuirono a chiarire le sue ideee gli servirono, in seguito, come metodo, piuttosto che immobilizzarlo in una visione del mondo prestabilita e forse anche preconcetta. Infatti egli in una lettera riferisce: “il marxismo come canone di interpretazione storica ha avuto su di me una grande influenza". Uscito dal Partito socialista, non abbandonò la lotta politica e fu molto severo col Giolitti, che denominò “il ministro della malavita” per i suoi brogli elettorali e i metodi poco democratici di governare.

Della campagna di Libia fu poi un irriducibile oppositore. Intanto L’Europa conosceva i primi fermenti di una guerra che avrà dimensioni mondiali.

L’Italia, benchè legata alla Triplice Alleanza, aspettava e rifletteva su quel cruciale momento storico. I partiti erano due: quello della guerra e quello del non intervento. Salvemini fu tra i promotori dell’entrata in guerra dell’Italia. Nel 1919 venne eletto deputato e resterà in carica fino al ‘21, facendosi sostenitore della politica di rinuncia, nella questione balcanica.

Nel 1925, uno tra i fermi oppositori del fascismo, fu arrestato per aver creato insieme con C. Rosselli e E. Rossi il foglio clandestino “Non mollare”. il 31 luglio fu liberato per amnistia e successivamnete espatriò clandestinamente. Nelle “Memorie di un fuoruscito”egli narra: “Il giorno dopo, 16 agosto, partenza per la Francia, attraverso il passo del Piccolo San Bernardo, su un’automobile amica. "Mi accompagnavano Federico Chabod e Natalino Sapegno. La diaspora degli intellettuali italiani era cominciata”.

Nel 1925 venne destituito dalla cattedra di Firenze per assenza dall’Ufficio, quantunque avesse dato le dimissioni fin dal 5 novembre. In una lettera inviata al Rettore dell’Università di Firenze tra l’altro scriveva: “Signor Rettore, la dittatura fascista ha soppresso, oramai, completamnete, nel nostro paese, quelle condizioni di libertà, mancando le quali l’insegnamento della storia, quale io l’intendo, perde ogni dignità, perchè deve cessare di essere strumento di libera educazione civile e porsi a servile adulazione del partito dominante”.

Nel 1926 veniva privato, insieme con altri esuli, della cittadinanza italiana. Visse, tra il 1925 e il 1934 in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti, guadagnandosi il pane con le sue pubblicazioni e orientando, consigliando e incoraggiando l’azione degli antifascisti, particolarmente del suo discepolo prediletto Carlo Rosselli, ed entrando in polemica con i propagandisti del regime. Partecipò, come collaboratore, all’azione di “Giustizia e Libertà”, che riuniva in Italia alla resistenza attiva contro la dittatura uomini provenienti da tutti i partiti antifascisti, purchè accettassero il metodo della libertà. Non domandava l’adesione a nessun dogma economico, liberista o dirigista che fosse. Più tardi partecipò alla prima fase della “Mazzini Society” negli Stati Uniti. Dal 1934 al 1948 insegnò “Storia della civiltà italiana” all’Università di Harvard (Cambridge, Mass.) di cui fu poi professore emerito. Nel 1948 fu reintegrato nella cattedra fiorentina. Durante tutto il periodo risolutivo della guerra Salvemini ha preso posizione sia contro le correnti americane che intendevano dare della crisi italiana una soluzione conservatrice, sia contro le soluzioni comuniste. Rientrato in Italia nel 1947 e definitavemente nel 1948, malfermo in salute, riprese per poco il suo insegnamento a Firenze, poi si ritirò a capo di Sorrento, continuando fino all’ultimo, con articoli ed opuscoli, la sua battaglia di sempre per un’Italia seria e dignitosa, meglio aderente ai problemi della vita moderna nella comunità internazionale. Morì a Capo di Sorrento il 6 settembre 1957. La sua salma è stata portata a Firenza nel 1961.

E’ stato sempre un arduo problema trattare, complessivamnete, una personalità, perchè, nello stesso tempo che tentiamo di darne una definizione, di inchiodarla più o meno in una formula definitiva, essa poi ci sfugge e rivela dei lati del tutto opposti e ci spinge verso uno scomodo scetticismo.

Gaetano Salvemini, per i suoi molteplici interessi, ha una prsonalità, starei per dire poliedrica, per cui diventa arduo il compito di tratteggiarla nella sua completa interezza. Cercheremo perciò di rilevare quegli aspetti della sua personalità che ci sembrano i più interessanti, mettendone in luce il meridionalista, lo storico, il maestro.

GAETANO ALVEMINI E LA QUESTIONE MERIDIONALE

A sveglare in Salvemini l’interesse per il Meridione fu una rivista provinciale pubblicata a Cosenza: “Il pensiero contemporaneo”, che aprì un’inchiesta fra le varie personalità del Mezzogiorno sulla “Questione meridionale”.

Questa iniziativa prendeva spunto dalla pubblicazione del libro: “L’Italia barbara contemporanea” di Alfredo NIceforo. Risposero a questa inchiesta, fra gli altri, il Lombroso, il Loria, il Ferrero, e il Colajanni.

Queste risposte approvavano la tesi del Niceforo che si aggiravano sulla concezione della fatale ed esotica “inferiorità” del Mezzogiorno. Salvemini che allora firmava i suoi articoli RERUM SCRIPTOR, UN TRAVET, IL PESSIMISTA, TRE STELLE, creò una impostazione nuova e superiore del problema.

Nel rispondere all’inchiesta de “Il pensiero contemporaneo” polemizzo aspramente col Niceforo, le cui affermazioni, sotto una superficiale patina scientifica, nascondevano una sostanza reazionaria.

“La razza si forma nella storia ed è effetto di essa e non causa, e nella storia si trasforma: spiegare la storia del paese con la parola 'razza' è da poltroni e da semplicisti”.

E per Salvemini che approfondiva il problema, il fatto fondamentale dellla differenza tra Nord e Sud d’Italia era che, mentre centro della vita economica, politica e intellettuale è nell’Italia settentrionale la borghesia industriale, centro della vita pubblica dell’Italia meridionale è, in mancanza di una borghesia moderna, la grande possidenza fondiaria-medievale o feudataria.

Un ulteriore approfondimento del problema lo compiva scrivendo una serie di articoli sulla questione meridionale in cui partiva dalla constatazione dell’esistenza di “tre malattie” che, impedendo all’Italia meridionale di avvarsi sulla via del progresso, costituiscono gli aspetti tipici della quesione meridionale:

1) Lo Stato accentratore e dilapidatore;

2) la soggezione economica del Sud al Nord;

3) La struttura semifeudale che impedisce la formazione di una borghesia moderna e consente invece l’esistenza di una nobiltà assenteista e prepotente, di una piccola borghesia affamata e a quella asservita e di un proletariato privo di qualsiasi diritto.

La classe dei grandi proprietari per il Salvemini non si interessa delle riforme e non ha nemmeno interesse che si arrivi ad una profonda alterazione dei rapporti sociali attualmente vigenti.

La piccola borghesia, per il suo carattere composito, non è capace di sviluppare un’azione autonoma e consapevoe e si appoggia perciò ai grandi proprietari terrieri e rappresenta i loro interessi nella vita politica e costituisce quella associazione tra latifondisti e piccoli-borghesi che è la chiave di volta di tutta la vita pubblica meridionale.

Il proletariato, “la classe che ha più di tutte bisogno di riforme, non può sperare un efficace aiuto dalla piccola borghesia meridionale, in quanto essa è interessata a mantenere il Sud nella funzione di “Vandea d’Italia”, ” serbatoio delle forze parlamentari reazionarie”. Dunque i contadini meridionali la luce e la guida non possono trovarla nel loro paese. Ad essa bisogna che ci pensino i riformatori settentronali.

Finchè nell’Italia meridionale la legalità sarà nelle mani dei latifondisti e della piccola borghesia, qualunque riforma sarà impossibile in tutta Italia. In Italia, la diffusione tra proletariato industriale e proletariato rurale è anche, sotto parecchi riguardi, differenza tra proletariato settentrionale e proletariato meridionale; bisogna che il primo si ricordi che non potrà mai fare nulla di serio senza l’altro”

GLI STUDI STORICI

Secondo il Croce l’opera storiografica di Salvemini va classificata nella scuola economica-giuridica di fine secolo. Il suo primo scritto apparve nel 1891, dopo che il Paoli gli aveva dato, per le vacanze del 1890 una grossa opera dell’Imbart de la Tour sulle " Elezioni episcopali in Francia dal IX al XII secolo", per farne una recensione. E’ il primo lavoretto a stampa del Salvemini, eppure c’è qualcosa del futuro Salvemini: c’è un primo cenno di insoddisfazione e di sospetto per il termine popolo. “Popolo nel suo vero senso”, dice, in questa recensione giovanile, senza specificare meglio ma avvertendo gia l’ambiguità del termine. Fu anche il Paoli, assieme al Villari, che lo avviò verso l’argomento dela della tesi di laurea: “La dignità cavalleresca del comune di Firenze”, che è stretamente connesso,come tema, a “Magnati e popolani”.

Intanto veniva pubblicando studi che rivelano la probità del suo metodo e la sua integgerrima condotta morale:

1 – Un comune rurale nel secolo XII;

2 – Lotte tra Stato e Chiesa nei comuni italiani durante il XIII secolo;

e un altro sull’abolizione dell’ordine dei Templari. La conclusione di quest’ultimo studio è significativa: “moralmente l’abolizione dell’ordine dei Templari fu un delitto e la nostra coscienza deve notarlo, come tale, di eterna infamia” Storicità e moralità rimangono inconciliati su due piani distinti.

Con “Magnati e Popolani”nel quale si concentrano non pochi degli studi precedenti, la figura di Salvemini storico del medioevo italiano acquista il più alto rilievo. Oggi, a più di sessant’anni di distanza, è ancora un’opera valida, non soltanto come classico della storiografia, ma anche come interpretazione non superata di un particolare periodo della storia fiorentina. Fino ad allora, aveva ragione Salvemini nel commentarlo, magnati e popolani erano rimasti”quantità algebriche astratte”.

Intanto, come si trovava a Lodi come insegnante di storia nel Liceo locale, scopre, nella biblioteca comunale, il Cattaneo, pubblicista d’alta classe della “Isurrezione di Milano nel 1848″. Esce da questa lettura un libretto vivace “I partiti politici milanesi nel secolo XIX”. A poco a poco il Medioevo gli parve un’epoca remota e si rivolse perciò a questioni che più gli stavano a cuore e che erano ancora presenti nella vita morale , politica e sociale dei primi del ‘900. Nel 1905 pubblica “La rivoluzione francese 1788-1792″ a cui lavorava già da parecchio tempo. Letterariamente, la rivoluzione francese è l’opera più bella del Salvemini, compatta, equilibrata, lucida nell’esposizione.

Il bisogno di concretezza, chiaro in ogni sua opera, lo spingeva a teorizzare l’uso del termine astratto rivoluzione: “Rivoluzione altro non è se non un termine collettivo astratto, mediante il quale noi denominiamo, con grande risparmio di tempo e di fatica, i nobili spogliati dai plebei”.

Aveva infatti pubblicato , nel novembre 1903, sulla “Rivista di Italia” “La fuga d Varennes” e nel 1904 sulla “Rivista Italiana di sociologia” “Le cause della rivoluzione francese".

Nel 1905 usciva il “Mazzini”, in cui è stato notato un certo schematismo, proprio dei manuali; ma pur nei suoi limiti, risulta l’opera fondamnetale per capire il pensiero mazziniano.

Il primo avvio alla storia contemporanea si manifesta in Salvemini come interesse per la politica estera. Pubblica un articolo intitolato “Come siamo andati in Libia” e intanto tiene presso il king’s College di Londra un ciclo di lezioni sulla politica eatera italiana del 1871 al 1915. Non vi è opera di Salvemini in cui si senta in tutta la sua drammaticità il conflitto tra politica e morale come in questa.

All’estero pubblica vari sritti sul fascismo nei quali si nota la sua posizione fortemente critica nei confronti della dittatura mussoliniana.

SALVEMINI MAESTRO ED EDUCATORE

Grande maestro, per ammissione generale, anche degli avversari politici, che non poterono non riconoscere l’efficacia grandissima del suo insegnamneto storico. Fu instancabile nel predicare e nel dare l’esempio, con la propria opera, della necessità di ricondurre la vita italiana alla severità dei propositi, alla profonda coerenza fra il pensare, il dire e il fare, di liberarla dai fumi della retorica di ogni specie, per riportarla al senso del concreto, al culto severo della giustizia e della libertà.

Era tutto questo, la sua intera personalità di uomo, manifestazione tutta protesa a servire un ideale di giustizia e ibertà per tutti: dagli individui alle classi, alle Nazioni, alla umanità; un ideale che non cessa di essere alto e nobile e di rifiorire sempre nel cuore degli uomini per quanto si creda di poterlo storicamente e realisticamnete circoscrivere e quindi diminuire definendolo illuministico o utopistico; un ideale al quale lui conformava la sua vita di strenuo lottatore. Era tutto questo che faceva di Salvemini un incomparabile educatore di un’Italia migliore: un grande maestro.

mercoledì 17 febbraio 2010

ACQUA UN BENE COMUNE INALIENABILE – UN BISOGNO E UN DIRITTO! di Giancarlo Nobile



Nell’ultimo 007, un film la cui cifra filmica era una fantasmatica idiozia, vi era un verità di fondo la questione dell’acqua, nel film vi era un organizzazione segreta che voleva gestire l’acqua in un paese sudamericano, fantasia? Non molto in Sicilia ove l’acqua è in abbondanza nel sottosuolo è gestita da privati . Ciò porta quell’isola ad avere il primato europeo per la scarsità dell’acqua per i cittadini. Le transnazionali del petrolio hanno da tempo iniziato una riconversione industriale dal petrolio che sta per finire e con le restrizioni per l’effetto serra diverrà marginale all’acqua bene che inizia a scarseggiare – dunque i profitti sono alti – e che non se ne può fare a meno. Il Decreto Ronchi che apre alla privatizzazione dell’acqua va in questa direzione. E allora che fare per contrastare questa sciagura in cui l’acqua diviene un bisogno non un diritto?

Stiamo avvicinandoci alle elezione Regionali ed ecco che si può chiedere ai nostri Candidati di agire nel senso che qui di seguito suggerisco:

  1. Impegnare l’amministrazione

- a riconoscere nel proprio Statuto il Diritto all’acqua

- a impegnarsi a utilizzare, proteggere, conoscere e promuovere l’acqua come bene comune, nel rispetto dei principi fondamentali della sostenibilità integrale (ambientale, economica, politica e istituzionale)

- a mantenere cotto il controllo pubblico il ciclo integrato dell’acqua compresi il capitale ed i servizi ad essa collegati (infrastrutture e insieme dei servizi di captazione, adduzione, distribuzione, fognature e depurazione)

- a garantire la sicurezza dell’acqua, nelle quantità e qualità necessarie Alla vita, a tutti i membri della comunità in solidarietà con le altre comunità e con le generazioni future: la quantità minima indispensabile alla vita quotidiana è stimata ai 40 litri di acqua al giorno per persona. Tale quantità dovrà essere garantita come diritto e di conseguenza il costo essere commisurato alla necessità di mettere tutti i cittadini in condizione di poter fruire di tale diritto

- a garantire pari accesso alla risorsa in termini di qualità e di quantità a tutti i cittadini applicando un sistema tariffario giusto e solidale, fondato sul principio di sostenibilità, sulla lotta all’abuso, su tariffe differenziate e proporzionali ai livelli di consumo.

- a contribuire alla riduzione sul territorio dei prelievi eccessivi e sconsiderati sia in campo agricolo e zootecnico, sia industriale

- a promuovere il ritorno dell’acqua nei luoghi pubblici (re)introducendo ‘punti acqua’ di ristoro, informazione e cultura nei luoghi di incontro sociale (piazza, stazioni, giardini, aeroporti, stadi..) alfine di contrastare il consumo di acqua in bottiglia di plastica, così deleterio per l’ambiente e di incentivare una nuova cultura dell’acqua

  1. In una prospettiva internazione e mondiale:

- a destinare, per ogni metro d’acqua fatturato, un piccola percentuale, un centesimo di euro, al finanziamento di progetti di cooperazione internazionale che perseguono modelli sostenibili di gestione dell’acqua nei paesi sofferenti di penuria di acqua potabile

- a stimolare ed incentivare lo studio di soluzioni innovative per la realizzazione del diritto all’accesso dell’acqua per tutti entro il 2020

domenica 14 febbraio 2010

Ricordando Modugno di Massimo Messina


Ho appena ascoltato alla radio "Meraviglioso", cantata prima da Modugno e poi dai Negramaro, che hanno fatto di recente (2008) una cover di questa bella canzone, il cui testo è di Riccardo Pazzaglia. Mi piace la canzone ed amo ricordare qui l'impegno politico di Modugno, che iniziò con espressioni pubbliche di simpatia verso il Partito Socialista Italiano, al quale aveva donato i diritti d'autore della canzone "L'anniversario", composta nel 1973 in occasione della campagna per il "no" al referendum sull'abrogazione della legge Fortuna-Baslini, che aveva introdotto il divorzio in Italia nel 1971. L'attività politica di Modugno si rafforzò nella seconda metà degli anni '80, quando, impressionato dall'attività a favore dei disabili del Fronte Radicale Invalidi, si interessò alle iniziative del Partito Radicale, per il quale si candidò alle elezioni politiche del 1987. Fu tra i deputati della Camera nella X legislatura. In parlamento il suo impegno fu principalmente rivolto alla tutela dei diritti dei disabili e sulle norme riguardanti gli artisti.

Da siciliano amo pure ricordare l'amore di Modugno per la Sicilia ed il suo dialetto, ma ancor di più la battaglia a favore dei ricoverati dell'ospedale psichiatrico di Agrigento, che subivano condizioni di vita disumane, nonostante la legge Basaglia fosse entrata in vigore ormai da un decennio. Riuscì, nel 1988, a far chiudere l'ospedale, e dedicò ai ricoverati un concerto. Fu il primo concerto che Modugno tenne dopo la sua malattia. Modugno fu più volte ospite del Centro Culturale Pier Paolo Pasolini, accolto con grande simpatia ed affetto. Venne pure eletto, nel 1990, sempre ad Agrigento, consigliere comunale.