martedì 29 dicembre 2009

Giancarlo Nobile: Il laico: il conviviale ponte tra le differenze


Dove stiamo andando a finire, le vecchie, care, rassicuranti certezze che sorreggevano l’uomo medio – Dio, Patria, Famiglia, lavoro, nascita e morte … le previsioni del tempo – sono totalmente messe in discussione. Sembra che le banali frasi fatte di tante consolanti conversazioni sul nulla siano, come nel sogno/incubo allucinatorio dell’ Alice nel paese delle meraviglie ove l’antica logica è sospesa, e i parametri identitari di riferimento, come le realtà oggettive, si sono ribellate, impazzite e sono diventate poliformi effettività.

Vediamo il mondo cambiare in modo rutilante e repentino. Quel che era lontano diviene vicino, quel che era certo diviene incerto. Le nostre rassicuranti interpretazioni del mondo che ci sono state tramandate da millenni, da generazione in generazione, sono messe in discussione. Tutto ciò che, al di là delle connotazioni strutturali, era il collante che faceva sì che la vita avesse dei parametri comuni ci sfugge, si dissolve velocemente.

Il mondo è diventato incomprensibile, minaccioso. Il mondo più che mai genera paura. Si può dire che è sempre stata questa la percezione degli uomini del mondo: ma che c’è di diverso? C’è che non vi è più spazio, non vi è più luogo ove fuggire, né fisico, né metafisico, ci si sente soffocati dalla piccola terra e traditi dalle grandi promesse.

Nel nostro tempo affrontare i grandi temi vuol dire scoperchiare verità e certezze che ci portiamo dentro da sempre, oggi affrontare i temi dell’uomo – nella sua quotidianità – significa rimettere in discussione i paradigmi che hanno sorretto l’Occidente sino ad oggi e che hanno invaso il Pianeta costruendo quello che esso è al momento un labirinto ove l’uomo ha perso il filo.

Vivere, nella propria quotidianità, diviene sempre più complicato, tutto cambia velocemente, sempre nuove sollecitazioni si pavesano improvvise, la storia accelera in modo imprevisto, non si riesce a digerire i cambiamenti che subito altro cibo si affastella sulla mensa della vita. Non si riesce a mettere ordine alle cose, ad incanalarle come sempre è stato fatto che, come scrisse Gramsci in una lettera ‘Vi è sempre un Giappone, al di là dell’Orizzonte che condiziona la nostra vita’, ora questi Giappone si sono moltiplicati, diversificati e formano un labirinto inestricabile tra il nostro quotidiano e il futuro.

La vita vuole futuro; ma il futuro è chiuso in questo inestricabile dedalo: l’acqua, l’effetto serra, lo smog delle città e la siccità, le cellule staminali e la clonazione, la fame e la sete nel mondo, il cibo transgenetico e la mucca pazza, la migrazione, il tribunale e la polizia internazionale, l’habeas corpus di donne e bambini, la libertà di movimento in tutte le direzioni, il lavoro interinale e quello atipico, il costo degli armamenti e quello dei farmaci, la proliferazione dell’informazione, il precipizio demografico…

Il futuro sembra bloccato, un immenso punto interrogativo si staglia all’orizzonte fermando lo sguardo e ci schiaccia in un’affannosa, alienante, ma apparente monotemporalità grigia, e ciò ci chiude in un illusorio spazio-tempo quotidianizzato ritmato dalle macchine ipertecnologiche e dai psicofarmaci, dalle fughe intraetniche e dalla metafisica teofanica: ma tutto attorno appare un vuoto dominato da quell’interrogativo monolito come nel 2001 di Kubrick.

In sole dell’avvenire del socialismo – la grande speranza del ‘900, anche con i suoi orrori - è coperto da quel monolito, l’orizzonte, l’avvenire non è più radioso ma chiuso dall’interrogativo: c’e futuro per l’uomo che ha combinato la tecnologia alla metafisica separandola dalla ragione della scienza?

L’umanità è prigioniera di una metatecnologia fine a se stessa che sta soffocando tutto e tutti, essa forma immensa ricchezza per pochi e grande povertà per molti, distrugge l’ambiente con i suoi effluvi e la sua pesantezza, disgrega le società senza dare prospettive.

Ci si trova davanti ad un baratro e ci si accorge di non avere strumenti adeguati per costruire il ponte per superarlo. Tutto il materiale che abbiamo sembra inadeguato. Viviamo sempre più in un modo interdipendente cittadini inconsapevoli di un grande paese alla ricerca costante di un equilibrio tra le varie case e mestieri, culture e bisogni che lo compongono con i limiti e leggi di questo paese.

Ogni divisione, ogni contrapposizione, ogni mancanza di concordia e di solidarietà, ogni scelta, si traduce, in questo grande Paese interdipendente, in uno stato di crisi per tutto il sistema mondo e apre tragiche prospettive di nuovi lutti, come se il secolo da poco concluso con i suoi atroci e tecnologici massacri, ci abbia lasciato in eredità scorie velenose.

LE SCORIE DEL PASSATO

Il millennio, il secolo che da poco abbiamo chiuso, ha avuto come suo momento finale, il grido: la storia è finita! No, non finiva la storia, veniva solo celebrato il funerale di un cadavere che per più di cent’anni non si aveva avuto la volontà e il coraggio di seppellire. Era il cadavere di una concezione del mondo che con i suoi miasmi ha fatto diventare il novecento il secolo dei massacri, dei genocidi, delle pulizie etniche , della conclamata crisi dell’ecosistema terrestre.

Era il cadavere indicato dal grido di Nietzsche: “Dio è morto” era l’indicazione nietzschiana tra una scelta che non era tra Dio e il nulla ma invero tra Dio/Metafisica e la realtà e l’uomo tecnologico ha avuto paura di scegliere la realtà. E’ il Nietzsche che scrive:”la vita va accettata completamente nella sua cruda realtà senza riserve, anche nei suoi aspetti crudeli” e ancora “l’uomo deve vivere nella realtà, e la realtà è la natura con i suoi dolori e i suoi piaceri con il suo essere e non essere causale’. Era da farsi la scelta della ‘semenza naturale’ per dare prospettiva a tutta l’umanità.

Quella era la sola scelta da compiere per non cadere in incubi tremendi.

Ma ora il cadavere dell’escatologia cristiana che si riverberava nelle filosofie idealiste e storiciste - ultimo scatto dell’uomo massa e tecnologizzato per illudersi che il cadavere fosse vivo - che vedevano un finalismo storico ripercorrendo lo schema cristiano composto da inizio/palingenetico (redenzione, tramite Cristo/rivoluzione) sviluppo (salvezza) società migliore (paradiso/società atemporale, progresso) è affondato definitivamente. La storia cristiana aveva, come la filosofia hegeliana, un senso. Ma oggi la storia si è ripresa ciò che le è, essa non ha un andamento stocastico ma probabilistico. Nulla è predefinito se non l’esistenza stessa che noi uomini interpretiamo. La storia, come la nostra vita, la costruiamo noi uomini attimo per attimo.

La concezione del divenire che è stata sepolta ha dato libertà alle mille storie degli uomini, di tutti gli uomini. Ha dato la libertà dell’interpretazione dell’esistenza e della sua costruzione a tutta l’umanità. Ma non ha ancora dato risposta all’angosciosa osservazione di Heidegger sulla tecnica che, essendo, per sua natura, senza finalità ed etica, ha preso il sopravvento: Ciò che è inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo. Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere attraverso un pensiero, mediante un confronto adeguato con ciò che sta emergendo nella nostra epoca.

Ed è la tecnica che ha seppellito le ultime illusioni escatologiche degli uomini, dal monito sull’alienazione di Marx ed Engels alla poetica parabola di Charlot nel film Tempi moderni, la tecnica che, come scrive Borges nasce come estensione del corpo dell’uomo, liberata dall’energia del corpo animale, esce dal corpo e si esso stesso corpo dettando i tempi ed il tempo è questa la rivoluzione di Ford e Taylor della catena di montaggio.

Lo sfarinamento sociale avverrà dopo la grande riconversione industriale dovuta all’avvento dell’informatica, la robotizzazione degli anni 1970/1980 che espellerà forza lavoro e modificherà totalmente la struttura del lavoro, delle classi sociali e della produzione .

Ciò inonderà il reale e l’immaginario, con la sua standardizzazione e facilità di produzione, di oggetti, simboli sociali recidendo il rapporto tra il costruito e la mano che costruisce, tra il processo ideativo, manifatturiero e l’uso. E ciò espelle l’uomo dal suo costruire…dal suo essere homo faber.

In questi tempi astorici dominati dalla tecnica, che per se ed in se non ha un senso, il vecchio cadavere dell’escatologia tomistica/hegeliana è stato sepolto lasciando un vuoto umano ed un pieno di tecnologia, lasciando un mondo umano attonito, alla ricerca affannosa e sfuggevole di un senso e si carica di paure.

Intanto la tecnologia si espande e si trasforma in tecnosfera che comprende tutto e tutti e tutti diventano sue periferie intercambiabili e l’uomo, l’aggregazione umana, persi i suoi collanti si parcellizza, si atomizza in mille e mille nuclei che si avvicinano sempre più tra loro – il lontano diviene vicino: il tempo della voce e della luce – ma, nel contempo, nello sfarinamento dei linguaggi e dei bisogni il vicino diviene lontano e ci si chiude sempre più nei propri tempi per trovare i parametri dell’esistente.

Il processo di definitiva scoperta del mondo è così giunto alla sua conclusione, dal primo periodo 1522 (Circumnavigazione di Magellano/Juan Sebastian Elcano e raccontato da Pigafetta) costituita dalla mondializzazione della mercantilizzazione del Pianeta. Il pianeta diviene un immenso mercato ove merci si muovono in continuazione da un punto all’altro rendendo ricche le nazione europee che hanno la giurisprudenza per governare, le tecnologie per gestire questo mercato e le armi per difenderlo.

Con tutto questo, pero, sostanzialmente, il pianeta, nelle sue infinite sfaccettature etniche, era rimasto ancora una meraviglia di mille colori, l’esotico ancora avvinceva e meravigliava.

Tutto ciò è mutato, e possiamo, certamente in modo arbitrario, ma significativo, porre come data del cambiamento il 19 Luglio 1969 l’uomo, con un enorme sforzo tecnologico e finanziario, giunge sul suo satellite, la ricaduta della tecnologia informatica e telematica, essenziale base per quell’impresa, darà inizio ad un nuovo periodo quello che viviamo oggi della mondializzazione della soggettività.

Non è più solo la merce che viaggia, ma è un modo di vivere il mondo, che è il vivere europeo che invade il pianeta e che innesca un processo sincretico ove l’occidente si sposa con l’oriente e questo con il sud del mondo, i figli di questi incontri rendono tutto identico e sfocato, un mondo di ‘non luoghi’ come scrive Augè, una omologazione invade il pianeta e i colori etnici degli abitanti della terra sbiadiscono, l’esotico è ovunque e da nessuna parte dunque non esiste.

Ed è questo che ha comportato lo smarrimento dei parametri come quelli dell’appartenenza affogata com’è nell’immenso mondo liquido dell’omologazione e la chiusura nella soggettività che ha fatto diventare ogni uomo uno dei tanti punti dell’antroposfera.

Tutto questo l’uomo: l’animale classificatore, l’animale assetato di miti, li definisce globalismo riferito all’espansione della tecnosfera e glocalismo quando si riferisce all’atomizzazione della società. Ma in verità tutto ciò ha una parola sola: crisi.

IL NUOVO MONDO SENZA CENTRO

Lo studioso Arno Peters ha tracciato – con criteri scientifici una nuova proiezione cartografica, dove il sud del Mondo (Africa, America latina, India…) assume il rilievo che gli compete rispetto, alle distorsioni di superficie e di baricentro delle carte tradizionale. Come quelle di Mercatore, proiettate verso il Nord e con l’Europa al centro di tutto l’emisfero.

E’ questa la concreta visione di un cambiamento totale di prospettiva.

L’Europa ha perduto la sua centralità non è più il centro della Terra ma un infima propaggine dell’immensa Asia. E’ questa la sinottica rappresentazione dell’uomo europeo che gira a vuoto smarrito con la sua ideologia ellenistico-giudaica che gli ha permesso di primeggiare tra tutti i continenti ed imporre il suo punto di vista a tutte le nazione e di far introdurre a tutti i prodotti di questa sua cultura (Cristianesimo nelle sue infinite interpretazioni ( tra cui l’Islam) - l’economicismo –capitalistico/fascista e socialista/comunista, scientifico/tecnologico).

Ora che tutto questo si frantuma e si ricompone in una logica globale, sotto la spinta della tecnica, tutto viene posto sullo stesso piano storico, ma nel contempo, come forza uguale ma contraria, tutta avviene negli infiniti tempi storici della comunità umana.

E’ questa la presa d’atto, quotidianizzata dalla telematica, con la sua conseguente proliferazione dell’informazione, della grande rivoluzione avvenuta nel 1522 quando arrivano a Sanlùcar de Barramela il Porto di Siviglia le superstiti nevi della prima circumnavigazione terrestre di Magellano e conclusa dopo la morte di questi da Elcano.

Siviglia è la prima città che incontra la grande mutazione della soggettività globale, della perdita degli antichi parametri. Questa non è più una città del tutto europeo ma diviene un punto della sfera terrestre e su una sfera vi è una infinità di punti, tutti veri e plausibili.

Sarà Giordano Bruno a certificare la grande mutazione, ne De l’infinito universo et mondo, il genio di Nola, vede crollare i falsi muri, le sfere celesti e il tutto europeo – che racchiudevano l’uomo europeo in un rassicurante universo ma certamente pericoloso per il dialogo paritetico con gli altri popoli egli scrive: Non sono fini, termini, margini, muraglia che defrodino e sottraggono la infinita copia delle cose. Indi feconda è la terra ed il suo mare.

Ora come non mai, con difficile accettazione, ci accorgiamo che l’umanità non è altri che un grande blob un fluido che si muove spinto dal caso e necessità come tutta l’esistenza. E in questo movimento di perenne metamorfosi ove nulla si crea tutto si muove mossa dall’anima mundi dell’essere plurale ed unico come scrive Giordano Bruno, che la bussola dell’esistenza, anche nella piccola quotidianità, perde i parametri, le coordinate, l’orizzonte di senso.

In tutto questo i mediatori della paure – politica e religione - non hanno più risorse da spendere e si chiudono in una ritualizzazione incomprensibile di gesti e parole svuotate di senso come: fede, ragione e tolleranza o come: ecumenismo, integralismo o come: democrazia e totalitarismo. Parole troppo cariche di passato per sorreggere un pianeta costituito da un caleidoscopio di mondi umani.

Non vi è più un rassicurante stato egemone – che è amico o nemico, ma che delinea l’orizzonte e da senso alle aspettative – non lo sono la lobbycratica Stati Uniti chiuso tra il rassicurante mito del paradiso familistico e la iperteclonogia soggettiva, né la tecnocratica Eurolandia, non lo sono la capitalistica & comunista Cina né il postmodernomeriovale Giappone non lo sono l’oligarchica e mafiosa Russia nè la nazione di tutte le contraddizioni l’India, gli apparenti stati campione dell’odierno, ossimorico, mondo.

In questo mondo caleidoscopico Cina ed India, corrono verso tutti i primati, ormai nazioni unite nell’acronimo Cindia hanno gettato in poco più di quindi anni settecentomilioni di nuovi borghesi nel calderone dei bisogni reali e imposti che pesa come macigno sul sistema terra.

Invero il pianeta globalizzato dalla tecnologia è un Impero a-personale e a-nazionale senza centro, che vive in modo autoreferenziale mosso da un atono utilitarismo economico e dalla struttura tecnologica che in se non ha prospettive. Ed è tutto questo che genera la crisi identitaria dell’uomo d’oggi.

Si vive in una crisi profonda di prospettiva – il più chiaro sintomo di tutto ciò sono le tante guerre stupide con armi pseudo-intelligenti ove i morti non si vedono ma sono solo da una parte, quella dei più poveri, queste si sono susseguite dopo lo sciogliersi del rigido impero Sovietico che non ha resistito alle mille oscillazioni del grande-blob-mondo – e si vive questa crisi come se tutto il materiale che abbiamo accumulato non sia adeguato a costruire un nuovo futuro, nuove strutture per una umanità sempre più unificata.

I Capi di stato cercano di dare una forma al tutto con la politica, ma una politica senza la prospettiva di gestire il cambiamento è vana, ed in un mondo alla ricerca di ponti che uniscano le differenze, che si fanno sempre più vicine ma reclamano la loro identità e tendono così pericolosamente a scontrarsi, la politica classica dei confini nazionali perde la sua potenza.

La politica abdica, i partiti occidentali fanno una corsa verso il grigio centro politico, scrive Joseph Ramoneda: Il centro si definisce per essere uno spazio vuoto nel quale tutte le ideologie si neutralizzano e sfumano. Il centro è il luogo ideale per pronunciare la dissoluzione della politica. Se non c’è niente da dire, rimane solo da amministrare. Il centro è un territorio senza ideologia, il luogo in cui si è né di destra né di sinistra, né democratici né antidemocratici. Questa è la politica del nulla che si annulla nel mondo caleidoscopio dell’umano blob.

Il povero cittadino vive in un crisi di identità e di senso e vive questa parola come un fatto estremamente sconcertante. Senza costruirsi il necessario atteggiamento disposto a bilanciare psicologicamente le frustrazioni che derivano dalle aspettative che vanno deluse, le disfatte, le ammissioni di aver sbagliato, di aver seguito falsi profeti.

Lo stato nazione perde poteri con la proliferazione di trattati, di super organismi transnazionali che formano lo jus dell’Impero globale, non riuscendo a parlare con chi è portatore primo di bisogni: il cittadino del Pianeta Terra, questo nuovo soggetto sociale che sta emergendo, con sempre più forte coscienza di se, in questo mondo che ha perduto i troppi colori degli stati sostituiti da una miriade di punti della rete telematica.

Il potere si allarga sempre di più ma, nel contempo, diventa anche sempre più difficile imbrigliarlo. Abbiamo un mondo unificato de facto ma le nostre istituzioni e i nostri sistemi di governo dovranno ora spostarsi a un livello più alto di consapevolezza, di identità di struttura organizzativa globale, ma il principio di organizzazione sotteso al nostro mondo è mutato drasticamente.

Le istituzioni globali non sono andate di pari passo col mutare dei tempi: sono state costruite sul concetto degli stati-nazione prevalentemente ideate per difendere gli interessi nazionali, ma senza favorire un senso di amministrazione fiduciaria globale e queste le porta a girare a vuoto.

Il grande paese vede il susseguirsi di rituali summit veri spot virtuali di un potere apparente e si sente ammansire da parole vuote che non costituiscono futuro la fine della stato-nazione, figlio della rivoluzione francese, non ha dato ancora risposte se non tentativi in eterno stato embrionale come l’Eurolandia, qualcosa in se che è l’esempio per tutti di una vera rivoluzione nel rapporto tra stati, ma rimane in una eterna ricerca di parametri comuni e confini certi in quanto questi si perdono nel mondo-blob delle mille differenze umane.

LE RELIGIONI: CATENE DEL PASSATO

In questo gran sommovimento riemergono le religioni, residui di un mondo fatto di certezze, molte volte imposte, ma comunque rassicuranti. Attualmente sembra che l’unica prospettiva, quella di cercare i punti di contatto con le differenze, siano le religioni; esse appaiono punti di sicuro appiglio. Ciò nonostante, alla fine, appaiono essenzialmente come catene del passato che soffocano la ricerca di soluzioni per i cittadini del pianeta, appaiono sempre più pericolosamente chiuse nei loro dogmi per sopravvivere alle mille voci del relativismo globale.

Porre la religione al centro della vita è stato l’indaffarato lavoro del Papa Giovanni Paolo II, egli è stato un pietrificato profeta del passato che, nei sui ultimi anni, stanco e ammalato, caparbiamente pellegrinava per il mondo cercando un dialogo e un accordo tra la sua unica verità e l’unica verità degli altri.

Naturalmente due assoluti non si possono incontrare, anche se hanno radici comuni come le grandi religioni monoteistiche. Le religioni sono dal punto di vista antropologico, teologico ed epistemologico incompatibili con la democrazia liberale per la sua essenza relativistica di dialogo tra individuo e società. Antropologicamente, perché la democrazia liberale si fonda sull’individuo e sulla società; teologicamente perché esclude dio dalla sfera pubblica ed epistemologicamente perché si fonda sulla ragione e non sulla fede

Per tale motivo le religioni non possono, per la loro stessa essenza, dare risposte univoche nel paese-mondo ove le differenze passano tra tutti i miliardi di abitanti di questo pianeta, ognuno con i propri bisogni, ognuno con le proprie prospettive, non possono parlare a tutti perché hanno una sola risposta, perché il processo di globalizzazione porta alla scoperta della propria relativistica soggettività.

Tutto ciò è ribadito in modo illuminante nell’enciclica Fides et ratio in cui il papa si rifugia nella scolastica di Tommaso d’Aquino negando tutto il pensiero posteriore sia in termini filosofici, si in termini scientifici e tecnologici. Il tutto inserito in un confuso e semplicistico discorso che cerca sincreticamente di portare ad un unicum il complesso pensiero buddista, confuciano, induista e quest’unicum è il cattolicesimo.

Fides et ratio è un ritornare al rassicurante medio evo. Al rassicurante tutto europeo, riproponendo l’assurdo della filosofia ancella della teologia, scrive il papa che il filosofo deve ‘procedere secondo le proprie regole ma che la verità è una sola ed è già data e presente nella rivelazione cristiana. Il filosofo deve partire dalla verità di dio per ritornare alla verità di dio.

La credenza religiosa è caratterizzata dalla pretesa di essere evidente, non soggetta a discussione né a modifiche successive, fondata su qualcosa che si situa oltre la comprensione umana e la cui rivelazione proviene da un venerabile passato.

In Fides et ratio il papa ribadisce che l’uomo non può essere ‘assoluto padrone di sé’ artefice del proprio destino e del proprio futuro, la sua vera realizzazione potrà avvenire soltanto se egli sceglierà di ‘inserirsi nella verità, costruendo la propria abitazione all’ombra della sapienza e abitando in essa’. La sapienza è il logos divino (nell’accezione Paolina ‘l’uomo vive per un soffio di Jahweh ed è illuminato dalla luce del logos’) incarnato nel cristo, di cui la chiesa di Roma detiene, a quanto pare, il monopolio interpretativo. Il realtà tutto alla fine si risolve in una serie ottusa di preposizioni indimostrabili come atti di fede e dunque diviene inutile qualsiasi ricerca di dialogo.

In definitiva l’enciclica è una negazione del pensiero come ricerca e come dialogo paritetico. E’ fondamentalmente intollerante e come giustamente ribadì papa Woityla essa parte dalla Chiesa cattolica che ‘non è e non può essere democratica’ . Come ho scritto prima in definitiva è il ribadire l’impossibilità di accordo con la democrazia liberale (relativismo dialogico e metodologico) e la religione (fede indiscutibile).

Il cristianesimo e la sua setta cattolica in particolare, non può dire nulla all’uomo di oggi ne lo può far incontrare. Tale situazione è identica a tutte le altre religioni sia monoteiste che quelle asiatiche prettamente sociali. Ma maggiore è la difficoltà delle religioni monoteistiche figlie dell’ebraismo sorte per difendersi da un momento di grande crisi, la fine dell’Impero Romano e del mondo classico, con la loro rigidità diedero riparo a milioni di uomini, ma oggi questa rigidità si scontra con la complessità del mondo, in special modo quella cristiana cattolica che ha una forte struttura esegetica e organizzativa ed è totalmente in crisi.

Alex Langer prima di lasciarci tenne ad Arezzo l’ultimo suo discorso e attaccò duramente tali rigidità: ‘Quando ha inciso nel rapporto uomo/ambiente, il passaggio – avvenuto nel primo millennio a.c. – dalla religione panteista, legata ai culti locali, alle religioni monoteiste basate su un dio unico, assoluto e trascendente…Guerra, saccheggi, armamenti in nome di un dio, insieme al degrado ambientale. A cui va incontro tutto il bacino del mediterraneo…Le crociate iniziate mille anni fa proseguono in tutto il Pianeta, con il loro lascito di terrore e morte…Occorre denunciare la forte perdita di identità, l’aumento demografico, che nessuna rendita, che nessuna religione fino ad oggi ha voluto limitare’.

Questo è un parlare duro contro un modello culturale che da duemila anni domina l’occidente e che sta conducendo alla distruzione del pianeta. Tra la metafisica delle religioni e la realtà Alex Langer sceglieva con forza la realtà con le sue mille e mille differenze che si univano nel tutto della natura. L’uomo diceva Langer deve accettare e unire quelle differenze con ponti di parole e gesti: per un incontro conviviale.

Tutte le religioni si scontrano con la grande conquista della soggettività operata dall’illuminismo europeo che, recuperando la tradizione laica del periodo classico egiziano/ellenico/romano, ha formato il mondo secolarizzato con i suoi corollari dei diritti e dei doveri dell’uomo e della democrazia col suo relativismo ed in determinismo che si sta diffondendo capillarmente nel mondo, tramite la rivoluzione informatica e telematica.

Questo processo sta rompendo gli steccati che dividevano progressisti e conservatori, reazionari e liberisti o occidentali e orientali tutto ciò su scala planetaria con apparenti ossimori così è omologabile ad Osama Bin Laden epigono dell’Islam puro dei deserti con Gerge W. Bush difensore dell’ottusa purezza religiosa dei padri pellegrini, abembedue difendono il loro particolare (Osama lo chiama ‘la piccola tenda di Maometto’ Bush ‘il focolare di pionieri al centro dei Canestoga’ i carri usati per la conquista del West).

Nella nostra piccola Italia abbiamo il caso emblematico di Berlusconi e D’Alema; il primo personaggio emerso dal buco nero italico formato da finanza cattolica e mafia, affermatosi nel grande marasma della ‘grande mutazione’, massimo esponente della tecnologia televisiva commerciale senza regole (liberismo illiberale) alleato ai nazicattolici di Comunione & Liberazione chiusi nella loro visione del mondo premoderno, mitico e teocratico come è stato detto per Fides et ratio.

Il secondo, figlio di quel Partito Comunista Italiano di matrice più che altro gesuitica/hegeliana dopo la vittoria di Togliatti sul laico ed aperto Gramsci. Di quel partito collassato sotto i colpi della mutazione D’Alema riprende il concetto del partito chiuso, alchemico, ancorato ad una ottusa visione monolitica della politica in reazionaria difesa di un ruolo guida che non esiste più e di una escatologia tomistico/hegeliana affondata nel blob-mondo.

Tutti i personaggi sopraindicati sono legati dall’apparente ideologia/religiosità e dai forti interessi economici che ruotano intorno alle loro figure. Tutti difendono il vecchio, tutti sono per un nuovo ordine. Tutti sono strenui fautori di quel cadavere che con i suoi miasmi ha ammorbato il ‘900 illusi che esso sia in vita e non vedono che era morto da tempo e che è stato ormai sepolto dalla rivoluzione della globalizzazione. Verranno spazzati via speriamo senza tragici lutti.

La modernità, l’intero progetto illuminista: democrazia, eguaglianza, liberalismo politico, separazione tra stato e religioni, parità dei sessi, secolarismo ed essenzialmente riconoscimento della soggettività della persona, spezzano ogni rigidità ideologico/religiosa, sono per i religiosi opera del demonio, gli islamici si sentono agenti di Allah, i cristiani – quei pochissimi veri cristiani rimasti – hanno la tetragona fede, gli ebrei sono il popolo eletto, ma tutti si sentono accomunati al disaggio di vivere in un mondo corrotto dai peccati del materialismo demoniaco ma essenzialmente è una perdita inesorabile di potere da parte degli apparati religiosi che da forma alle frizioni più pericolose per l’umanità.

La posta in gioco è stata ben indicata dal cardinale Ratzingher poco prima di diventare il nuovo papa Benedetto XVI, che nella sua visione ribadisce che lo scontro non è tra religioni ma tra queste e la laicità egli dichiara: ‘la vera contrapposizione che caratterizza il mondo di oggi non è quella tra diverse culture religiose….Se si arriverà a uno scontro delle culture, non sarà per lo scontro delle grandi religioni – da sempre in lotta le une contro le altre ma che, alla fine, hanno anche sempre saputo vivere le une con le altre – ma sarà lo scontro tra questa radicale emancipazione dell’uomo e le grandi culture storiche’.

Ed è qui il dramma essenzialmente dell’Islam, l’ultima grande religione monoteista che rimane ancora viva in enormi masse che continuano a proclamare la Shamanda la fede incrollabile e la totale sottomissione ad Allah; masse incolte governate da una oligarchia corrotta che si chiude nella Sharia il corpus delle leggi islamiche derivanti dal Corano in cui è ribadita la Al hakimiya lillah cioè la sovranità esclusiva di dio.

L’islam è chiuso tra due parole halal – puro, lecito – che si contrappone haram – divieto, impurezza – è una dicotomia che non ha dialettica e dunque chiude le scelte sociali, politiche, economiche del mondo islamico in una difesa della purezza – della donna, del cibo, del pensiero, del corpo – e dunque chiuso a qualsiasi contaminazione esterna. Ma questo con il mondo blob che tende sempre più all’omologazione meticcia, ove i confini del puro ed impuro svaniscono nell’interpretazioni soggettive, crea conflitti con il resto degli abitanti del pianeta.

L’occidente diviene di per sé impuro, portatore dei valori illuministici, e da qui il conflitto degli emigranti che sempre più affollano le città d’Europa, che da in linea di massima tre modelli come risposta a questa emigrazione quello positiva francese e spagnola che pone al centro la laicità dello stato a cui tutti devono attenersi nei momenti e luoghi pubblici, quello inglese in cui vi è un lasciar fare ma che porta alla formazione di ghetti mentali e fisici ove la priorità, vista la mancanza di riferimento, diviene l’appartenenza all’islam, e quella più pericolosa l’italiana che da tutto in mano alla chiesa cattolica con un catastrofico scontro e non ricerca di dialogo.

L’Islam è religione figlia del logos greco e della metafisica cristiana che ha incontrato e fatto suo il duro trialismo arabo della Sunna, e ciò l’ha pietrificata nel non riconoscere divergenze tra società e religione, tra stato di diritto e volere di dio e ciò lo rende un grumo duro trasportato dal grande blob che frantuma l’Umma, la comunità islamica, e la unisce in forme sempre diverse creando povertà immensa per tantissimi e ricchezza esorbitante per pochissimi e ciò genera fanatismi e il sorgere di improbabili rais per riportare tutti indietro nel tempo in cui vi era il rassicurante chiuso in impenetrabili categorie.

Le nazioni Islamiche - le tantissime interpretazione dell’islam sannita e scita principalmente – si scontrano tramite e per mezzo della tecnologia (maggior produttori di petrolio, braccia per portar avanti l’old economici e i giovani per la new economy), con le sue stesse variegate realtà e con il resto del mondo, che mettendo tutto sullo stesso piano storico, mette in discussione tutto ciò che tende ad essere rigido, chiuso nel suo tempo storico, muovendosi, per effetto della tecnosfera, in una logica liquida intrisa com’è di relativismo ed indeterminazione.

CHE FARE? NAVIGARE!

E allora che fare? Se politica e religioni non esprimono più valori e parole per costruire nuove prospettive dove rivolgersi? Vi è nel mondo qualcosa che può far germogliare la speranza ed aprire un futuro al grande paese?

E allora che fare? Se è in atto una rivoluzione dei nostri paradigmi e non è più possibile pensare né le comunità chiuse delle nazioni, delle tribù, dei clan. Né una comunità mondiale ma solo all’ aggregazione di individui portatori della loro soggettività?

E allora che fare? Se sta emergendo con forza la terza parte che compone la modernità: dopo i ‘Diritti dell’ Uomo’ e i ‘Doveri dell’ Uomo’ sorge, preponderante, oggi che il pianeta è di fatto unificato, oggi che ‘l’orma dell’ uomo sull’ ambiente è diventato intollerabile’, il terzo lato, il più combattuto e difficile da attuare i ‘Limiti dell’uomo’

E allora che fare? Oggi che la ricchezza economica è detenuta da un esigua oligarchia mondiale mentre la maggior parte vive al limite, se non al disotto, della possibilità vitale.

Ancora una volta, tra le pieghe del pensiero europeo, l’ unica cultura che ha incentivato la convivialità, ha incentivato la discussione, guerra con le parole per evitare la guerra con le armi, ove il maestro Socrate diceva ai discepoli ‘Se avete qualcosa di meglio da dire, di più intelligente ditelo, perché io non sono la fonte della verità’ . In queste radici possiamo trovare il seme che può dare linfa vitale a tutto il grande paese.

Ed è in questa ricerca della convivialità, che fa germogliare l’ alterità che supera la crisi, ma tutto presuppone il mettere in discussione gesti e parole che appartengono al mondo chiuso, rigido, eurocentrico e che ha una visione finalistica della storia e ciò bisogna farlo partendo dalle più piccole parti del contesto della quotidianità umana.

Scrive Christof Baker: ‘La cura dei dettagli è una delle condizioni fondamentali della convivialità. Senza questa cura, quest’ attenzione,non si riesce a porre le basi per un approccio diverso alla nostra atavica tendenza ad allontanare gli ‘altri’, i diversi. Nel recente passato, ci si poteva illudere di essere da una parte o dall’ altra, membri di strane famiglie ideologiche all’ interno delle quali potevano anche succedere le cose più brutte. Ma oggi che ci siamo risvegliati con la complessità come pane quotidiano, bisogna ammetterlo: come li abbiamo conosciuti la solidarietà, la tolleranza e la militanza hanno fatto il loro tempo. Perché sotto, questi pur nobile sentimenti nascondono un rapporto di forza fra l’io che è solidale o tollerante o che lotta e l’altro che spesso e volentieri non mi ha chiesto niente in partenza. Quanto danno è stato fatto nel nome dell’aiuto agli altri. C’è dietro ogni tentativo di ‘migliorare’ la vita qualcosa che sa di crociata, di jihad’.

Ecco dunque che occorre quell’atteggiamento nell’agire che modifichi il nostro orizzonte di percezione, che ci faccia uscire dalla nostra claustrofobica endosfera, e ciò affinché si possa attuare il programma – l’unico realizzabile nella sua concreta utopia – sinteticamente espresso da Alex Langer di una conviviale globalizzazione:

Ad una visione dei mondo incentrata su un’idea di sviluppo fatta di mercificazione, competitività e crescita (citius, altius, fortius, più veloce, più alto, più forte) vogliamo opporre un’alternativa rovesciando il motto olimpico: più lentamente più in profondità, con più dolcezza (lentius, profundis, soavius)

Per far ciò occorre lasciare le certezze, lasciare la terra del passato e aprirsi all’immenso oceano delle differenze, delle miriadi tempi umani e dei linguaggi, essere pronti alla nuova mappa dei sguardi dell’altro Nietzsche scrive: Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave. Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle, E non è tutto! Ai tuoi fianchi c’è l’Oceano: è vero non sempre muggisce, talvolta la sua distesa e come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di spaventevole dell’infinito. Oh quel misero uccello che si è sentito libero e ora urta nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra’.

LA SPERANZA IL PROFANO CHE SPECULA CERTAMENTE

Kierkegaard dice nella prefazione di uno dei sui libri di desiderare moltissimo di essere considerato ‘un profano che specula certamente’. Esiste una categoria di persone che sentirebbero di dover affermare di se stessi qualcosa di simile. Sono profani!

Il tempo, la molteplicità delle connessioni legato al loro quotidiano a tante discipline lontane di sede e di autorità non permettono loro di affermare nulla con certezza assoluta.

Vorrebbero fondamentalmente essere competenti nelle faccende del benessere e finiscono per scoprire prima o poi che non esistono facoltà del benessere. Scoprono che i dottori sono molto imbarazzati quando si domanda loro come si fa a vivere meglio.

Sulla faccenda del vivere meglio non ci sono molte autorità nei luoghi di culto, del sapere, delle informazioni, della politica.

Se si vuole imparare qualcosa su questo argomento bisogna fare gli autodidatti e cercare degli altri profani che speculano. Nel frattempo ci si industria per risolvere il problema delle essenze superficiali del quotidiano. Il profano nel suo eroico disincanto si accorge di essere ignorante di non aver capito una moltitudine di cose, si accorge di essere maldestro, si accorge di essere ritardato, si accorge che dei bambini sono in grado di fare una moltitudine di cose che lui non sa fare, si accorge di essere mediocre. Ma ugualmente il profano che specula si rende conto che sono pochi quelli che al pari di lui se ne sono resi conto. E’ questo il suo vantaggio. Il profano che specula è un mediocre., ma è un grande mediocre. Egli sa di non sapere.

Questa è una condizione estremamente dinamica. Il grande mediocre è curioso, ha bisogno di esercitarsi, di coltivarsi, di recuperare gli spazi perduti delle sue capacità non esercitate e coltivate, non si arrende di fronte alle difficoltà delle materie, ma si cimenta non per essere il migliore, ma per essere migliore. Il profano che specula incontra convivialmente gli altri non per tollerarli ma per ricercare la feconda alterità.

E in questa tensione scopre già una prima regola di benessere: che il vivere meglio è collegato al sapere tante cose, di incontrare tante diversità. Scopre che la vita può non essere felice, ma può essere molto interessante.

Il profano che specula fa sua l’aristotelica phronesis a principio regolativo, è un etica del navigante, l’etica di chi vede ciò che accade di volta in volta, in modo imprevisto e in tutti i casi in cui non è chiaro quale sarà la conclusione, e in quello in cui è indeterminato.

L’etica del navigante diviene la bussola pragmatica di chi non dispone di mappe e affronta le difficoltà del percorso di volta in volta, senza preconcetti ideologici e culturali, a secondo di come esse si presentano e con i mezzi al momento a disposizione.

L’etica del navigante diviene l’unica disponibile nel tempo del’affermazione della tecnosfera, dove le scoperte che la scienza quotidianamente propone a ritmo accelerano dischiudono problemi imprevedibili di cui non è possibile trovare soluzione deducibili da principi etici immutabili, stabiliti n tempi che non potevano contemplare e ipotizzare possibilità.

L’etica del navigante diviene la risorsa per trovare la rotta nel mondo blob senza centro, ove tutto l’umano è sullo stesso piano storico, ove tutto sfuma continuamente in eterno, caleidoscopico, presente: angoscioso ed imperscrutabile come un grande punto interrogativo che chiude l’orizzonte.

Ẻ tutto questo che fa il profano che specula: l’attuare la capacità di disertare le prospettive ultime che la tecosfera ha reso incomprensibili, per vivere il mondo nella sua casualità, nella sua eroica innocenza, non pregiudicata da alcuna anticipazione di senso, dove l’accadimento stesso, l’accadimento non iscritto nelle prospettive del senso finale o del progresso escatologico, a porgere il suo senso provvisorio e immortale, l’etica del navigante non si appella al diritto, ma all’esperienza.

E dalla esperienza che trae il pensiero calcolante, che stiva nella cambusa, come cibo per il futuro, che ribolle nel presente, in una rutilante costruzione. Nella cambusa egli mette in definitiva la capacità di vedere sempre oltre l’apparente, le frasi fatte, gli stereotipi, i paludamenti, le opinioni comuni per poter incontrare l’imprevisto senza esserne travolto.

Il profano che specula sa che la prima legge dell’esistenza è tutti siamo legati a tutti gli altri e di conseguenza fa suo come astrolabio per la sua navigazione l’etica della responsabilità. Egli si pone in maniera responsabile – non delega – nei confronti dei problemi che lo riguardano . Investe soluzioni, iniziative, crea lavoro per sé e per gli altri, crea interesse e cultura.

Il profano che specula diviene un imprenditore di pace in quanto sa che la pace è qualcosa da fare non qualcosa – la guerra – da evitare, che la pace si costruisce e quindi esige una coraggiosa e razionale creatività, una algoritmica fantasia, una conviviale completezza di espressione umana, che occorre scatenare la guerra delle idee per evitare la guerra di fatto.

Il Profano che specula diviene il ponte che fa incontrare idee. Costruire un network di idee è essenziale per l’incontro tra tutti gli uomini, egli sa che si fronte alla guerra che distrugge e uccide occorre scatenare la guerra delle idee che costruisce sempre nuovi scenari, sempre nuovi oceani per navigare e costruire la mappa ove trovare l’isola dell’incontro, le coordinate sono la razionale pietas che sconfigge la metafisica caritas e l’accettazione dei naturali limiti umani.

Da qui nasce la coscienza che siamo troppo soli ad assistere come ad un fatto ineluttabile la violenza. Gli aerei si fanno battaglia in cielo o in televisione si contano i puntini. I bambini denutriti giacciono disperati con lo sguardo nel vuoto e si riesce a biascicare solo parole. Gli occidentali vedono i mille colori e l’immenso dolore dei migranti. Le foreste bruciano, bruciano, nel cielo si aprono buchi e immense nubi di veleni uccidono la Terra. E gli uomini si chiudono in se stessi e diventano violenti nei gesti e nelle parole: hanno paura…sono soli.

Occorre un ombrello dei cervelli che rompa la solitudine. Le risorse e le possibilità di migliorare sono le idee migliori di quelle che, nel caso specifico, scatenano le guerre tra gli uomini e tra gli uomini e la natura. La costruzione di questo ombrello di idee non è delegabile come compito a nessuno. Nessuno può dire lasciamo fare a chi riflette meglio di me.

Il navigante della vita, il profano che specula certamente sa che non vi può essere un mondo migliore o meglio la realizzazione di un mondo felice costruito ideologicamente, egli fa sua la frase di Karl Popper: Vengono uccise più persone a causa della sapidità virtuosa che a causa della malvagità.

Il profano che specula sa che la crisi che vive l’umanità globalizzata nella sua quotidianità è attribuibile alla somma numerica delle sciatterie, delle piccole e grandi furbizie accaparratrici, delle indiscipline, dal cattivo gusto e dall’ignoranza presuntuosa e quindi di una mancanza di intelligenza, di una mancanza di riflessione, di consapevolezza, di senso della realtà.

Solo con il network delle idee si può costruire una democrazia planetaria. Così può essere costruita una democrazia della convivialità, una democrazia desiderata: se qualcuno la diversamente da me è da me subito, ma accetto con desiderio o come indice che può contrastare e correggere le percezioni e gli orientamenti operativi o, come suggeritore di soluzioni più centrate con validi correttrici alla cantonate prese.

L’umanità ha bisogno di nuovi valori etici: I valori etici possono nascere solo da una prassi di vita che si misura con i limiti, le passioni, le paure, le ritrosie, l’esasperazione del procedere alla ricerca di sé, nell’altro da sé così. Così scrive Moni Ovada nella prefazione del libro Pappagalli verdi di Gino Strada un profano che specula certamente.

Il profano che specula certamente, il razionale navigatore nel bob-mondo, il costruttore della rete delle idee, colui che costruisce l’etica da sé incontrando l’altro da sé, crea problemi a tutti i poteri: ai religiosi di professioni che cercano l’ecumenismo nella loro tetragona verità, per i politici che inseguono a vuoto, chiusi come sono nel loro centro-buco nero e i loro spot-summit, gli industriali da old o new economy e finanzieri d’assalto, per i non-filosofi che inseguono universali e non creano concetti e vedono gli altri da sé con tolleranza. Egli mette al centro l’uomo/natura e relega la tecnologia a strumento.

Il profano che specula è l’anima del mondo.

Il guaio è che questo individuo costruttore di futuro, questo conviviale ponte tra le differenze, per lo più si trova sfornito di potere, di autorità: è un laico.

Bibliografia

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G. Nobile (2000) 1600/2000 Quattrocento anni dal martirio di Giordano Bruno, CSDE: Napoli

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L.L. Cavalli Sforza (2004) L’evoluzione della cultura. Codice. Torino

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P. Odifreddi (1999) Il vangelo secondo la Scienza, Einaudi: Torino

P. Sloterdijk (2002) L’ultima sfida – breve storia filosofica della globalizzazione, Carocci: Roma

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S. Kassir (2006) L’infelicità araba, Einaudi Torino

Z. Bauman ( 2006) Intervista sull’identità, Laterza: Bari

giovedì 24 dicembre 2009

A.Sammartino: NUCLEARE, NO GRAZIE!




Il popolare giornalista della trasmissione radiofonica
Zapping, Aldo Forbice, di nome e di fatto, in quanto taglia tutti gli
interventi dei radioascoltatori che non corrispondono alla sua opinione
filoberlusconiana (provare per credere), esprime in un articolo apparso sul
quotidiano “La Nazione” del 24/12/2009, particolare soddisfazione all’ipotesi
dell’istallazione delle centrali nucleari anche in Italia, elogiando in
particolare in questo campo l’esperienza francese.
Il giornalista Forbice, che
definisce i “soliti agitatori” coloro che esprimono delle critiche sul
nucleare, dovrebbe come giornalista documentarsi meglio, prima di lanciarsi in
facili entusiasmi.

1) L’energia nucleare non è come riportato dal giornalista
“un’opportunità di tutela ambientale”. Si crede erroneamente che la filiera
nucleare sia chiusa, che i materiali radiattivi siano riutilizzabili, che si
riduca la dipendenza dal petrolio e che si attenuerebbero le emissioni di
anidride carbonica. Ma la realtà, che Forbice come una lama “taglia”, sono i
grossi problemi del nucleare legati allo smaltimento delle scorie radioattive.
L’esempio della Francia, che secondo il giornalista di parte dovrebbe essere
preso come esempio, secondo un’altra inchiesta francese, attraverso un
documentario girata dalla Tv Artè, dimostrerebbe decisamente il contrario. La
Francia dal 1990, secondo l’inchiesta dell’ emittente francese, avrebbe
stoccato il 13% dei rifiuti radiottavi che provengono dalla sua filiera
nucleare, in un remoto villaggio della Siberia, chiusa alla stampa. Sempre da
questa data ad oggi sono stati trasportati in questo parcheggio nucleare e
stoccati a cielo aperto circa 108 tonnellate di uranio provenienti dalle
centrali francesi. La pericolosità dell’accumulo di questi materiali in casa di
altri, forse perché considerati cittadini di seconda classe, con il rischio di
possibili gravi ripercussioni sulla salute della popolazione e sull’ambiente,
getta, al di là di quello che dice Forbice, un alone di opacità sull’industria
nucleare francese, sul quale occorre diffidare più che prendere come esempio.

2) Il Forbice dell’informazione filogovernativa omette di dire, sempre sul tema
del nucleare, un'altra importante e non secondaria informazione e cioè che l’
uranio, che è il carburante delle centrali nucleari, secondo autorevoli studi
si sta esaurendo. Dal 1991 non si estrae più abbastanza uranio per coprire il
fabbisogno delle attuali 450 centrali nucleari civili sparse per il mondo. La
differenza è stata fino ad oggi colmata dalle scorte militari. Tra il 2015 e il
2025 la mancanza di uranio limiterà quindi un po’ alla volta l’uso di una parte
delle centrali nucleari. Successivamente la produzione di uranio diminuirà e,
di conseguenza, crollerà anche la produzione di elettricità nucleare. Anche se
non venissero costruiti nuovi reattori, la produzione di uranio sarebbe
insufficiente per rifornire quelli attuali. E una nuova caccia al metallo
grigio non permetterebbe di risolvere il problema dall’oggi al domani. Spesso
le miniere diventano operative solo vent’anni dopo l’individuazione del
giacimento. E in questi ultimi vent’anni non è stata fatta nessuna grande
scoperta. L’uranio che è presente nel mare in grosse quantità non è
fattivamente estraibile in quanto l’energia richiesta per l’estrazione sarebbe
molto maggiore rispetto a quella che verrebbe ricavata.

3) Attualmente 16
paesi sfruttano l’uranio e l’80% della produzione si concentra in 6 paesi:
Russia, Niger, Namibia, Kazakistan, Australia e Canada. Con così pochi
produttori, l’industria nucleare è molto vulnerabile. In un contesto in cui l’
approvvigionamento di combustibile crea tensioni è assurdo voler costruire
nuove centrali.

Investiamo allora nelle energie rinnovabili. Il nucleare non
ha futuro.

Antonio Sammartino (Uno dei “soliti agitatori” )
Nuovo Partito d’
Azione della Toscana