martedì 13 aprile 2010

Storia del Partito d'Azione

-Introduzione –

Fin dalla sua nascita (luglio 1942) il Partito d’Azione fu sostenuto dalla consapevolezza di essere, non già un nuovo partito, ma un “partito nuovo”, cioè una forza politica che, a differenza dei cosiddetti ‘partiti di massa’ – dissoltisi, peraltro, al primo urto con il Fascismo (inizialmente un movimento minoritario, tutt’altro che imbattibile) – e contrariamente alla deprecabile tendenza del corpo politico italiano a frazionarsi in una molteplicità di partiti “instabili, contingenti, non essenziali, talvolta addirittura a sfondo personalistico” (1), traeva la propria ragion d’essere e la sua unità non da un’astratta ideologia, ma dall’esigenza obiettiva, storica - ormai ampiamente avvertita dagli italiani - di una rottura definitiva con le miserie, le viltà e le nefandezze del passato e di un rinnovamento radicale della società, delle istituzioni politiche, della classe dirigente.

Fu il partito della ‘rivoluzione democratica’ , che si ricollegava direttamente alla tradizione della democrazia risorgimentale, al pensiero e all’azione di Giuseppe Mazzini, che ne fu la punta più avanzata, derivando da questa grande esperienza di lotte per la libertà e per l’uguaglianza obiettivi, forma organizzativa, metodi operativi, strategie di alleanze con i partiti e i ceti sociali, che meglio avrebbero potuto concorrere alla trasformazione dell’Italia in un paese moderno, in continuo progresso, la cui garanzia era riposta nelle libere istituzioni, in una diffusa coscienza civile, nel costante esercizio della sovranità popolare.

Partito di individui e non di mezzi”, secondo la definizione di Luigi Salvatorelli, che ne sottolineava la natura volontaristica e lo distingueva , così, dal modello prevalente del ‘partito- Chiesa’ o del ‘partito-Stato’, il Partito d’Azione fu sostanzialmente esente dall’autoreferenzialità, autentico vizio di origine della ‘partitocrazia’. Si considerò sempre, invece, al servizio della società, come struttura ad essa coordinata, con il compito specifico di elaborare le istanze provenienti dal basso in concrete proposte e programmi di azione politica.

Il riconoscimento di tale ‘primato della società civile’, tuttavia, non implicava la rinuncia all’impegno di educazione del popolo – in primo luogo con l’esempio – alle virtù civili, al rispetto delle persone e della legge, al pensiero critico, alla responsabilità personale e all’autonomia della condotta, agli ideali della libertà, della giustizia, della laicità, come unico contenuto di una fede comune, universalmente umana.

Fu considerato un ‘partito di élite’, un partito di ‘intellettuali’, dagli avversari, dai concorrenti e da storici troppo frettolosi nell’attribuire ad un deficit costitutivo la causa della sua breve stagione di vita e della sua prematura fine, soltanto per il fatto che, effettivamente, tra i suoi fondatori e tra i suoi militanti vi furono gli elementi di maggior spicco del mondo della cultura e del mondo delle professioni italiani del Novecento, che –fatto del tutto eccezionale – si ritrovarono a combattere sotto la stessa bandiera la battaglia per la libertà e per la democrazia, proseguendola, poi, individualmente, nei diversi campi e settori, all’indomani dell’ entrata in vigore della Costituzione repubblicana.

Il Partito d’Azione, in effetti, non è mai morto come esigenza, come istanza critica contro il passato ritornante, contro il ‘male radicale’ della società italiana e contro i facili compromessi e i trasformismi che ostacolano l’instaurarsi di una vera democrazia e confinano il paese ai margini della civiltà europea. Ha continuato a vivere oltre la circostanza materiale del suo scioglimento (1947) e le sue ‘direttive per l’avvenire’ sono, oggi, in questo generale dispendio, in questa irresponsabile dissipazione, di un ricco patrimonio di civiltà endogena, così faticosamente accumulato, più che mai valide. Bisogna soltanto trasmetterle ai giovani che non sanno, affinché comprendano come l’attuale assenza di futuro che frustra le loro energie non è il prezzo da pagare ad uno sviluppo che genera solo un illusorio benessere, ma è il risultato di un sistematico tradimento del patto sociale iscritto nella Costituzione repubblicana, scientemente e colpevolmente perpetrato da una classe dirigente e politica che si è appropriata di sacre parole, distorcendone il significato e il valore e usandole come strumento per legittimare la propria rapace avidità di ricchezza e di potere, a volte più forte, non già soltanto dell’etica universalistica dei diritti umani, ma della stessa, più ristretta, etica dell’onore.

Si è imputata, anche, al Partito d’Azione, l’’assenza di una ‘ideologia organizzativa’, con ciò considerando come elemento di intrinseca debolezza quello che fu un aspetto della sua novità e originalità. La struttura ‘leggera’ del partito, organizzato per commissioni di lavoro settoriali (orizzontali) e organismi territoriali (verticali), formati da ‘quadri’, provenienti da tutti i ceti sociali, rispondeva in realtà al concetto di un partito agile che doveva raccogliere le concrete istanze provenienti dai diversi gruppi sociali (problematiche economiche, sindacali, femminili, amministrative ecc.) in un continuo interscambio, per trasmettere ai vertici la volontà che saliva dal basso e tradurla in concreti obiettivi di azione politica, e risultava coerente, perciò, con l’idea di un partito democratico, soggetto ed organo di democrazia, non separato, ma coordinato alla società, formato non già da ‘funzionari’, ma da cittadini, compagni di lotta, ciascuno con un compito liberamente scelto, da svolgere con responsabilità e autonomia (2)

La stessa disciplina di partito, dopo il passaggio dalla fase militare della guerra partigiana ai compiti richiesti dalla vita politica ordinaria, non era regolamentata e imposta, ma affidata alla sensibilità, alla capacità di impegno e di lavoro, alla reciprocità dei singoli militanti, confidando soprattutto nella motivazione interiore.

Partito di ‘generali senza truppe’ è il luogo comune che ancora oggi ripetono i detrattori superficiali del P. d’A., che si rifiutano di compiere uno sforzo di comprensione di quella che fu un ’esperienza politica fra le più alte e le più memorabili della storia d’Italia; un’esperienza che segnò l’epopea della Resistenza e caratterizzò il Secondo Risorgimento della nazione. Ma giudizi di questo tipo non rendono conto del contributo in termini di idee, di iniziative, di determinazione e di passione che gli azionisti diedero alla guerra di Liberazione, oltre che delle risorse umane impegnate nelle operazioni militari e dell’ingente numero di caduti sul campo.

In realtà una base sociale, di contadini, di operai, di artigiani, di impiegati, di studenti e di insegnanti vi fu. Lo ricordò Joyce Lussu (3), testimoniando il clima di fervore e di fraterna e gioiosa solidarietà che si viveva nella sezione azionista di Porto S.Giorgio nelle Marche, dove il partito espresse un’Amministrazione e un Sindaco. Le vicende seguite alla caduta del Governo Parri, le strategie onnivore dei Partiti impegnati nello scontro ideologico, rivoltarono le carte e determinarono non solo l’arresto della crescita e del radicamento del P. d’A., ma quel consistente ridimensionamento dell’intera area laica - e quell’ingeneroso disconoscimento del ruolo che essa aveva avuto nell’opposizione al fascismo, nella lotta vittoriosa per il ritorno della libertà in Italia, nell’edificazione dello Stato repubblicano - che avrebbe pesato negativamente sullo sviluppo della vita democratica e, nei tempi lunghi, in assenza di un serio impegno per le riforme civili e sociali, sarebbe stato avvertito come un vuoto, di cui , com’era da prevedere, hanno approfittato le forze della reazione sempre in agguato.

__________________________________________

(1) Giuliano Pischel, Che cos’è il Partito d’Azione, Tarantola editore, Milano 1945, p. 7. La ‘novità’ del Pd’A si riassumeva, secondo G.Pischel, nell’essere un partito antidogmatico, eminentemente realistico, antidemagogico, ossia, alieno da ideologie e schematismi astratti e basato unicamente su un programma e una praxis, aderente alla realtà immediata, criticamente interpretata alla luce della chiara coscienza delle deficienze della storia italiana, avvezzo a guardare in faccia la verità e ad indicare la via del possibile, senza retorica e senza vane promesse.

(2) Cfr. lettera di Giorgio Agosti a Dante Livio Bianchi (16/5/44), cit. da Giovanni De Luna, Storia del Partito d’Azione, Utet, Torino 2006, p. 428 (Cap VIII, nota n°59)

(3) Azionismo e storia del Partito d’Azione, Convegno svoltosi a Porto S.Giorgio il 21/3/1986, registrazione in www.radioradicale.it

Nessun commento:

Posta un commento