martedì 13 aprile 2010

1929 Verso il Partito d'Azione


Il Partito d’Azione (1942-47) fu la formazione politica, di nuovo modello rispetto ai tradizionali ‘partiti di massa’, in cui, dopo l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940), confluirono le forze, spontanee e organizzate, dell’antifascismo laico-democratico, di ispirazione liberale e socialista, che avvertirono l’esigenza di darsi una struttura più ampia e capillare e una direzione politica e militare unitaria per sabotare la guerra, preparare l’insurrezione, abbattere il regime che aveva condotto il Paese sull’orlo della catastrofe, ormai imminente, e ricostruire su basi nuove lo Stato nazionale.

· L’antifascismo di matrice laica, sviluppatosi soprattutto negli anni successivi al delitto Matteotti (1924) e alle successive leggi ‘fascistissime’, che trasformarono lo Stato liberale ( nato dal Risorgimento ed evolutosi in Stato democratico con il suffragio universale (maschile) del 1912) in uno Stato totalitario, nasceva dall’avversione morale e culturale, diffusa soprattutto, ma non solo, negli ambienti universitari, contro la dittatura, contro il grigio, soffocante e stupido conformismo della società civile, contro le responsabilità e le connivenze della Monarchia e dei vecchi liberali , da un lato, e contro l’impotenza del riformismo debole e inconcludente e del rivoluzionarismo astratto e massimalistico dei partiti marxisti, dall’altro, i quali, tutti insieme, da opposte fronti, avevano spianato il terreno alla conquista mussoliniana.

Le fonti culturali comuni a cui l’antifascismo laico-democratico italiano attinse il proprio orientamento ideale e i motivi critici nei confronti delle insufficienze e dei ritardi storici della società italiana, evidenziatisi con il Fascismo (che non era, perciò, un episodio accidentale, ma la manifestazione virulenta di una malattia cronica e ricorrente degli italiani) furono:

1) il ‘concretismo’ e il ‘problemismo’ di Gaetano Salvemini (lo storico pugliese critico del sistema giolittiano e dello sbilanciamento, in senso nordista, dello sviluppo italiano e dello stesso movimento sindacale);

2) la ‘rivoluzione liberale’ di Piero Gobetti (il giovane intellettuale torinese, morto in seguito alle percosse squadriste, che interpretò il Risorgimento come una rivoluzione fallita per mancanza di una ‘riforma’ religiosa e salutò nell’esperienza dei consigli di fabbrica l’espressione di quel principio di autonomia, che in Italia è stato sempre represso dal predominio del principio di autorità, ma che dovrebbe essere il fondamento della vita civile);

3) La ‘democrazia nuova’ di Giovanni Amendola (protagonista della protesta dell’ ‘Aventino’ e morto anche lui per le conseguenze di un’aggressione fascista) fondata su un partito dei ceti medi, aperto ai problemi delle masse lavoratrici e fautore della via legale e costituzionale per il superamento degli squilibri sociali e territoriali (Unione democratica meridionale, poi trasformata in Unione nazionale);

4) la ‘filosofia della Libertà’ di Benedetto Croce (che i più giovani seguaci e cultori ricondussero dal piano metafisico-teologico, sul quale Croce l’aveva prospettata, a quello più concreto della lotta per ‘le libertà’, cioè per i concreti diritti, che devono essere garantiti a tutti i cittadini, secondo un criterio di eguaglianza e di giustizia, da istituzioni democratiche).

· Giustizia e Libertà’ si denominò, appunto, il movimento fondato a Parigi nel 1929 da Carlo Rosselli, Francesco F.Nitti, Emilio Lussu ed altri fuoriusciti, che entrerà, poi, come componente di maggior rilievo nel Partito d’Azione, insieme ai liberal-democratici amendoliani (Ugo La Malfa) e ai ‘liberal-socialisti’ (seguaci di Guido Calogero e di Aldo Capitini). Carlo Rosselli apparteneva ad una famiglia ebraico-toscana di fede repubblicana (Giuseppe Mazzini era morto a Pisa nella casa dei Rosselli). Sia lui che il fratello Nello (storico di Bakunin e di Pisacane) furono influenzati dall’insegnamento di Salvemini. Carlo, in particolare, dopo l’assassinio di Matteotti, si iscrisse al partito socialista e passò all’opposizione attiva contro il Fascismo. Nel 1925, con il fratello Nello, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei, Nello Traquandi e Dino Vannucci, diede vita al giornale clandestino dal titolo ‘Non Mollare’, che alimentò la cospirazione contro il regime e preparò il terreno alla lotta armata, essendo ormai chiusi tutti gli spazi per un dissenso legale. Dopo aver organizzato (con Pertini e Parri) l’espatrio di FilippoTurati in Corsica, ed essere stato successivamente arrestato, processato e confinato a Lipari (ne fuggì, insieme ad Emilio Lussu, grazie ad un piano di evasione messo a punto da Alberto Tarchiani) a Parigi promosse l’ingresso di Giustizia e Libertà nella Concentrazione antifascista dei partiti non comunisti (repubblicani, socialisti, CGL). Ma nel 1936 organizzò una brigata con cui andò a combattere in Spagna a fianco del Fronte Popolare, vedendo nella guerra civile tra i repubblicani e i nazionalisti di Francisco Franco l’anticipazione di quello che sarebbe stato lo scontro decisivo tra democrazia e fascismo in Italia e in Europa (“Oggi in Spagna, domani in Italia”). Nel 1930, in Socialismo Liberale, svolse la critica al determinismo e al quietismo della filosofia della storia marxista, a cui contrappose una concezione volontaristica del socialismo, realizzabile per gradi, attraverso una lotta costante, col senso della concretezza storica, tenendo sotto controllo il complesso delle condizioni economiche e senza mai abdicare al principio morale della libertà –“come mezzo e come fine” –. Rosselli proponeva, cioè, la sintesi tra liberalismo e socialismo, le cui contrapposte unilateralità venivano superate sul piano progettuale e politico, assumendo il primo “come forza ideale ispiratrice” e il secondo “come forza pratica realizzatrice”. Nel 1937, nello stesso anno in cui si spegneva Antonio Gramsci, Carlo e Nello Rosselli furono trucidati a Bagnoles de l’Orne dai ‘cagoulards’, un gruppo dell’estrema destra francese.

· Il liberalsocialismo fu un movimento distinto, all’origine, sul piano della teoria, dell’organizzazione e della prassi dal socialismo liberale di Rosselli e da Giustizia e Libertà, ma convergente nella necessità di una sintesi tra libertà e giustizia nell’unico ideale (etico) della ‘libertà giusta’, da realizzarsi in una progressione storica che richiede, di volta in volta, soluzioni politiche adeguate alle concrete condizioni economiche, sociali e culturali, la coercizione delle condotte egoistiche meno compatibili esercitata attraverso le leggi, la persuasione perseguita attraverso il dialogo e l’impegno educativo. Il movimento liberalsocialista nacque dall’incontro fra Guido Calogero e Aldo Capitini, rispettivamente docente di filosofia e segretario presso la Normale di Pisa (1937): due personalità assai differenti, ma unite dalla comune esigenza di promuovere in Italia quella riforma spirituale e quella rivoluzione politica che Mazzini aveva proposto nel Risorgimento, ma che non si era mai attuata per la prevalenza delle forze conservatrici e reazionarie che, da ultimo, si erano coagulate e consolidate attraverso il Fascismo. Calogero, allievo di Giovanni Gentile, aveva sviluppato, fin dagli anni giovanili, una critica filosofica radicale alle concezioni metafisiche e religiose, che suppongono una Realtà assoluta oltre l’esperienza effettiva e la volontà consapevole dei molteplici soggetti umani, estendendola ai residui di tipo teologico presenti nelle dottrine di Marx, di Gentile e di Croce. Con quest’ultimo ebbe un’aspra polemica, nel corso della quale Croce definì l’identità calogeriana di libertà e giustizia come un ibrido concettuale (un ‘ircocervo’). Aldo Capitini, era, per parte sua, uno spirito profondamente religioso, ma riteneva che la vita religiosa dovesse radicarsi nell’esperienza del singolo individuo, non nella Tradizione, non nella Chiesa di Roma, di cui denunciò l’oggettiva collaborazione con il fascismo. Alla violenza fascista egli oppose il metodo della non violenza (Successivamente sarà promotore dei Centri di Orientamento Religioso e nel 1961, ad Assisi, darà inizio alle annuali ‘Marce della Pace e della Fratellanza dei popoli’). Il carattere originariamente filosofico (etico-religioso) della corrente liberalsocialista (cui appartennero figure di primo piano, come Tristano Codignola, Norberto Bobbio, Carlo Ludovico Ragghianti, Carlo Azeglio Ciampi, e che si diffuse soprattutto in Toscana, Roma, Bari) fece sì che all’interno del Partito d’Azione esso non godesse sempre della stessa considerazione delle altre componenti e che piuttosto che Calogero e Capitini, tipiche figure di politici-impolitici, emergessero altre personalità, come quelle di Parri, La Malfa, Lussu, Lombardi, Valiani. Ma le proposte politiche contenute nei due Manifesti del liberalsocialismo (1940 e 1941) per la loro nettezza e radicalità si inserirono nel patrimonio politico dell’azionismo; alcune di esse vennero accolte nella Costituzione del nuovo stato repubblicano, altre rappresentano un traguardo ancora non raggiunto, ma irrinunciabile per il progresso della democrazia e della civiltà. Tra le prime segnaliamo il valore che Calogero annetteva, tra le istituzioni a tutela della libertà, ad una suprema Corte Costituzionale, come organo di garanzia, al di sopra delle parti, per il rispetto dei principi e delle norme fondamentali dell’ordinamento democratico da parte, sia delle istituzioni, che dei cittadini. Tra le seconde, la necessità : a) di assicurare a tutti una base di uguaglianza economica che renda effettiva la libertà di ogni singolo b) di eliminare le situazioni di ricchezza soverchiante c) di legare strettamente la proprietà al lavoro, contrastando ogni forma di rendita parassitaria e riformando il diritto successorio, in modo che solo una giusta parte del patrimonio accumulato possa trasmettersi agli eredi. Il nome di liberalsocialismo ha indubbiamente avuto una fortuna maggiore della conoscenza delle sue concrete connotazioni teoriche e storiche, se oggi è di moda definirsi, in Italia e all’estero, ‘liberalsocialisti’ – termine che, nella sinistra, sembra avere maggiore appeal di quello di ‘socialdemocratici’ - ignorando, o omettendo di far riferimento ai due intellettuali italiani che del liberalsocialismo furono gli ideatori e i fondatori.

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