lunedì 13 settembre 2010

Corrispondenza dall'America di Jacopo Panichi


Come sappiamo, tradizionalmente, grazie a piu' di mezzo secolo di alleanza politica e militare, gli americani hanno un'ottima impressione degli italiani. Nel loro immaginario l' Italia e' un posto da sogno abitato da gente da sogno; e' la localita' estera dove le coppie sposate amano andare in vacanza, e dove le ragazze amano andare al college. E' il luogo dove lo spinto romanticismo del popolo americano trova sfogo, e continuera' ad essere cosi'.

Forse se l'Italia non fosse un partner NATO e un paese membro UE, un paese con decine, se non centinaia di milioni di discendenti all'interno degli USA stessi, e che ha una fortissima risonanza nel loro interno, l'amicizia di Berlusconi con Gheddafi e con vari altri ditatorelli basterebbe a farci considerare un “paese canaglia”.

Ma, semplicemente, non e' cosi'. Dico questo per affermare che il problema istituzionale italiano e', secondo me, considerato dalla Casa Bianca alla stregua dell' Arizona e delle sue leggi etnico-razziali. Entrambi gli stati, Arizona ed Italia, infatti, hanno governi oppressivi e reazionari; e se il governo Obama, punta di diamante e roccaforte del liberalismo mondiale, deve fare i conti con l'Arizona, che appartiene alla federazione, l'Italia e' un problema per ora secondario, su quale tra l'altro, la politica americana non puo' fare nulla, se non stare a guardare con apprensione e dispiacere.

La realta' italiana, in questo Secondo Risorgimento, e', in effetti, piu' simile a quella del Primo Risorgimento, che non a quella della Guerra di Liberazione. Gli americani non interverranno in Italia se non in modo paragonabile a come, nel 1861, lo sbarco dei Mille in Sicilia fu coperto di due navi inglesi. Allora la questione fu un gioco di autodeterminazione popolare e diplomazia savoiarda, di presa di responsabilita' individuale e collettiva, che porto', inevitabilmente, al crollo delle istituzioni anacronistiche e reazionarie asburgiche, borboniche e pontificie.

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