sabato 28 novembre 2009


NUOVO PARTITO D'AZIONE - Coordinamento Nazionale
Mario Pannunzio
Ricordare Mario Pannunzio oggi, in occasione del centenario della sua nascita, significa, almeno per i giovani e per quanti non l’hanno conosciuto di persona, richiamare alla mente l’esperienza de “Il Mondo”, il settimanale da lui fondato e diretto dal 1949 al 1966, l’ opera’‘, cioè, di maggior impegno e rilievo culturale e civile, in cui la sua individualità si è –crocianamente- concretizzata e totalmente risolta.Mario Pannunzio è “Il Mondo”, l’organo e la sede di elaborazione della cultura politica antifascista, democratica e progressista che per quasi un ventennio ha trovato spazio nelle pagine e nelle rubriche che il suo direttore, come abile, quanto discreto, regista, alieno da tentazioni di protagonismo e deciso a rimanere sempre dietro le quinte, componeva e curava nei minimi dettagli, anche grafici, avendo sempre di mira la congruenza e l’efficacia dell’insieme. Ecco perché, in fondo, è certo sempre interessante, ma in modo solo relativo, ricostruire storicamente le linee della sua biografia personale, chiarire le sue ascendenze intellettuali, interrogarsi sulla natura del suo ‘liberalismo’, distinguendo la sua posizione da quella dei collaboratori, dei redattori e delle firme ospitate sulle colonne del suo settimanale, dal momento che quello che conta di più è la ‘linea’ complessiva che emerge da quest’opera a più voci, in cui le singole parti si ricompongono in un tutto.Questa ‘linea’ di politica culturale, o, meglio, questa ‘linea’ culturale, che autonomamente si metteva a servizio della politica, distinguendosi con nettezza dalla prassi politica che mira ad utilizzare strumentalmente la cultura, ha esercitato, grazie all’apporto di un élite intellettuale di grandissimo valore, una funzione educativa di eccezionale importanza nell’Italia appena nata alla democrazia moderna, riuscendo, anche, ad incidere sulla svolta storica degli anni Sessanta, cioè sulla svolta politica più ricca di promesse della storia repubblicana: quella dell’ ‘apertura a sinistra’ e del passaggio al centro-sinistra, attraverso il quale, programmaticamente, l’istanza della libertà si ricongiungeva strettamente con quella della giustizia sociale, in un rapporto, certamente difficile e problematico, ma coessenziale.Perché, una libertà fine a se stessa può entusiasmare, e magari commuovere fino alle lacrime, le oligarchie economiche e sociali dominanti, ma soltanto l’ideale di una ‘libertà giusta’ può diventare fede comune e trasformare un aggregato di individui, sempre più atomizzati e ristretti in cerchie protettive, in una società, veramente ‘aperta’, in cui vengano superate le numerose, persistenti e paralizzanti chiusure corporative. ‘Liberale’ certamente Pannunzio fu, ma nel senso pregnante concettualizzato da Croce, per cui la libertà non può essere per sempre oggettivata in leggi e istituti, che in sé e per sé intrinsecamente la contengano e automaticamente la garantiscano dai suoi nemici. La libertà, infatti, vive soltanto nell’anima umana; è un’energia che deve essere alimentata attraverso una cura e un impegno costanti, e può accrescersi, così come può decadere, esprimendosi, di volta in volta, in processi, forme e istituzioni, più o meno adatti a consentirne l’ espansione, o, viceversa, posti in essere per limitarla o per opporle ostacoli che finiscono per soffocarla.Questo fu il motivo che portò Croce a contrapporsi ad Einaudi e a negare che tra liberalismo e liberismo vi fosse un rapporto necessario. Una polemica, nata forse da un non compiuto reciproco chiarimento circa il rapporto tra i fini e i mezzi, che, da una parte, non rendeva ragione del comune rifiuto – di Einaudi e di Croce - del totalitarismo comunista e, dall’altra, metteva in ombra l’ apertura einaudiana verso le politiche sociali atte a far fronte ai ‘bisogni’ reali e ad incrementare, dunque, la libertà, pur nella convinzione che il mercato è stato storicamente e resta il mezzo, il meccanismo, migliore e senza alternative, per corrispondere alla ‘domanda’ effettiva di beni e di servizi.Così come da un’incomprensione nacque il dissenso di Croce dai suoi discepoli di ‘sinistra’, molti dei quali confluirono nel Partito d’Azione e, dopo il suo scioglimento, entrarono a far parte dell’ambiente culturale de ‘Il mondo’, restando fedeli, come azionisti, alla ‘religione della libertà’ e distinguendosi dal maestro soltanto nell’individuazione delle forze che tradizionalmente si opponevano al suo progresso e nella volontà di lottare concretamente contro di esse, per la trasformazione sociale e l’affermazione, in Italia e nel mondo, di equilibri più liberali e più giusti.Pannunzio fu, appunto, un’anima liberale: “uno dei pochi liberali autentici –scrisse Vittorio Gorresio – per l’istinto critico sicuro che lo guidava alla ricerca di soluzioni morali, culturali, politiche”, andando sempre in profondità e riuscendo a guardare le cose “da un angolo diverso e nuovo, mai nel modo generico proprio della maggioranza”.Per questo egli fu un vero maestro di intelligenza politica e di anticonformismo. La sua eredità, ancora viva e solo parzialmente messa a frutto, ci invita ad approfondire i temi che furono al centro della ricerca e della riflessione de “il Mondo”: l’europeismo, l’economia di mercato (alla luce dei suoi più recenti sviluppi e delle sue indesiderabili conseguenze), il laicismo.E ci addita la possibilità di una alternativa tra la subcultura cattolica e la subcultura marxista, che a lungo hanno prevalso in Italia, ritardandone il processo di modernizzazione, e rispetto ad una cultura pseudo liberale, strumentalmente ossequiosa verso la prima e dichiaratamente avversaria della seconda, nonostante questa non esista più.Ci addita, cioè, la via di una “rivoluzione democratica”, senza la quale il paese non uscirà dalla crisi istituzionale e politica più grave del sessantennio di storia repubblicana.
Vittorio Emanuele Esposito

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